L’Avvenire pubblica oggi il seguente commento di mons Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia commissione sulla Vita, sulla recente sentenza della Corte costituzionale in materia di fine vita.
La a sentenza della Corte Costituzionale n. 135/2024 risponde al dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal Tribunale di Firenze sul requisito dei “trattamenti di sostegno vitale”. In sostanza quanto veniva richiesto era di rimuovere il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, cioè di una delle quattro condizioni che la corte aveva definito nella precedente sentenza sul suicidio assistito n. 242/2019. Le altre tre condizioni sono 1) la irreversibilità della patologia, 2) presenza di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute dal dalla persona intollerabili, 3) capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.
(…) le condizioni che definiscono il perimetro di non punibilità di chi «agevola l’esecuzione del proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi» di procedere al suicidio sono state quindi tutte ribadite. Così come è ribadito il criterio fondamentale che ha motivato la posizione della Corte per cui non si era riconosciuto un diritto in generale di porre fine alla propria vita in presenza di ogni patologia, anche grave e fonte di sofferenza. Piuttosto, si era ritenuto irragionevole impedire l’accesso a un aiuto per il suicidio a coloro che sono nella condizione di morire rifiutando o sospendendo trattamenti che assicurano la loro sopravvivenza. Una possibilità già prevista dalla Legge 219/2017. La presenza di tali trattamenti è dunque considerata necessaria per sostenere l’argomentazione.
È interessante sottolineare che la Corte abbia ritenuto che questa condizione non sia discriminatoria rispetto ad altri pazienti che si trovano in tutte le altre condizioni, ad eccezione di questa. Infatti la presenza dei trattamenti di sostegno vitale introduce una differenza rilevante, che legittima una ragionevole differenza di trattamento. Il punto è importante, perché l’argomento della discriminazione è il fulcro su cui si fa leva per progressivi ampliamenti, in molte legislazioni nei Paesi in cui suicidio e eutanasia sono regolamentati giuridicamente. (…)
Notiamo però che anche in questa sentenza si allargano un po’ le maglie della definizione di trattamento di sostegno vitale. Se ne parla non più solo riferendosi alla ventilazione assistita o alla nutrizione artificiale, ma anche evocando misure infermieristiche (come l’evacuazione manuale o l’aspirazione delle secrezioni bronchiali). Da una parte questo criterio interpretativo è plausibile, perché è difficile fare una valutazione dei trattamenti senza inquadrarli nella situazione clinica. Dall’altra, mostra quanto sia delicata la situazione in cui ci troviamo in Italia, in mancanza di una legge che permetterebbe di chiarire meglio e in modo omogeneo le premesse di tali richieste. Una proposta di legge che cercava di convertire in disposizioni normative la sentenza 242/2019, come punto di equilibrio plausibile in una società pluralista e democratica, non è stata approvata al Senato, dopo essere stata approvata alla Camera il 10 marzo 2022. Il vuoto legislativo rischia di favorire l’allargarsi di una cultura dell’abbandono che porta verso l’eutanasia. Ecco perché, a mio parere, è urgente andare oltre il dibattito sulla legge, che pure è importante, ovviamente. Ma non dobbiamo infatti dimenticare che la questione fondamentale del fine vita risiede nell’accompagnamento e nella terapia di tutti i sintomi che affliggono il malato. È quello che fanno le cure palliative, che sono ancora troppo poco conosciute e poco diffuse nel nostro Paese, nonostante la legge sia buona. La Pontificia Accademia per la Vita ha edito poche settimane fa volumetto dal titolo Piccolo Lessico del Fine-Vita (LEV), proprio per favorire una maggiore consapevolezza sulle delicatissime questioni del fine vita. Temi come la malattia, il dolore, la sofferenza richiedono un coinvolgimento ben più ampio della società e ben più oltre delle pur necessarie decisioni legislative. L’elaborazione del dolore, la solidarietà, la prossimità nei momenti critici è una responsabilità che deve coinvolgere l’intera società, l’intera comunità.
Vincenzo Paglia