Non c’è solo il senso di una distanza temporale che ci sovviene nell’anniversario del tragico ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani, in quel tragico 9 maggio del 1978, dopo che gli uomini delle Brigate rosse avevano dato corso alla loro folle determinazione.
Già in quei momenti convulsioni, ci fu chi parlò della fine “di tutto”. Il riferimento andava soprattutto agli equilibri politici di quei tempi. In realtà, destinati a mutare formalmente solamente due lustri dopo. S’intuiva, però, che potesse comunque trattarsi di qualcosa destinato ad incidere più nel profondo. Certamente, per quanto riguarda la “qualità” della politica italiana.
Aldo Moro è sempre stato, in effetti, uno degli uomini che meglio incarnava quel pregio della prima fase della nostra vita repubblicana post fascista la cui essenza era costituita dall’ “attenzione” ai processi profondi dell’intero Paese. A quegli equilibri sociali e culturali che sottostavano e definivano quelli politici.
Emblematico fu il suo modo di porsi in ascolto, anche in piena solitudine, del moto degli studenti del ’68 e, poi, durante la stagione delle rivendicazioni del mondo del lavoro. Un metodo che non abbandonò neppure nei confronti del mondo popolare cattolico che si trovava ad affrontare stingenti e divisive questioni come il divorzio e l’aborto.
E lo stesso valeva per la complessa politica internazionale di cui fu protagonista, in particolare, nello scacchiere mediterraneo e mediorientale sempre agitati da pulsioni incontenibili in cui le divisioni mondiali di allora, questioni religiose ed etniche, l’inevitabile mutare di rapporti, in relazione al controllo del mercato del petrolio, rendevano più complessa la navigazione per un paese come l’Italia allora, forse, persino più sola di quanto non sia oggi nell’affrontare la pressoché totale dipendenza dall’estero per le materie energetiche e i traffici internazionali. E Moro non perse mai di vista la necessità di coltivare, insieme, il fermo posizionarsi nell’Occidente e, al tempo stesso, far diventare il dialogo e la “comprensione” i motori principali delle relazioni internazionali.
In tutti i passaggi che caratterizzarono il suo impegno politico emerse la sua spasmodica ricerca di ciò che potesse portare ad una sintonia il più possibile stretta tra politica e società. E questo richiedeva la faticosa analisi dei fenomeni. Solo quella poteva fornire l’intuizione sugli sbocchi possibili per le più delicate e controverse questioni che l’Italia era costretta ad affrontare, nei propri confini e al di là di essi.
Così, giungeva il momento delle decisioni, allorquando Aldo Moro dimostrava che non era da considerare affatto oscuro e indeciso. Cauto, saggiamente circospetto e prudente, sì, ma non certamente pavido e indecifrabile. La verità è che egli era lontano mille miglia dall’idea della “realpolitik” di un Kissinger, tanto per fare un esempio. Il metodo e la sostanza morotea animavano una politica basata sull’ascolto piuttosto che sul mero uso del potere dispiegato nella sua crudezza. E questo veniva certamente dalla sua piena, continua e costante adesione ai valori del cristianesimo democratico e popolare.
Moro aveva la rara capacità, propria delle più esperte guide alpine, o dei “lupi di mare”, di avvertire nel più piccolo zeffiro il segnale di un mutamento profondo. E coltivava una “qualità” della politica indirizzata soprattutto a rafforzare ed allargare le basi democratiche di un Paese ancora fortemente diviso ed inevitabile punto critico e di cerniera nel Mediterraneo quando ancora si era nel pieno dello scontro tra i due blocchi contrapposti.
I suoi uccisori non potevano certo capirlo. Loro credevano nella brutalizzazione e disumanizzazione della politica. A questo loro miravano. A Moro puntarono per far smarrire alla democrazia italiana la propria strada, favoriti anche dalle acute inefficienze del Paese e dai tanti che non avevano ancora ben compreso come non si trattasse di avere a che fare con “compagni che sbagliano” . Ma lo smarrimento delle leggi eccezionali non ci fu in continuità di quella linea di continuità che indicata anche da Moro sempre contrario al sovvertimento delle naturali regole democratiche. E così, sia pure all’alto prezzo della sua scomparsa, i terroristi, le Br, ma anche quelli di altri colori, furono sconfitti.
E’ altrettanto vero, però, che la politica cominciò a diventare un’altra cosa dopo la sua scomparsa. La mancanza della sua guida saggia, serena e determinata fu sentita anche nella Democrazia cristiana che cominciò a perdere la capacità dell’ascolto e dell’attenzione. E così, si è giunti all’ultimo trentennio nel corso del quale la politica è cambiata del tutto e definitivamente lasciandoci il peso delle mancanze di quella qualità che sarebbe oggi più che mai veder ritrovare dai nostri politici e dai partiti.
Giancarlo Infante