Il Natale è la festa della pace, ma questo Natale 2022, a prima vista, non sembra possa esser celebrato, cogliendo qualche segno o preannuncio di una pace futura e possibile, benché non immediata. Non sembra più tempo di “paci di Dio” e neppure di “tregue di Dio”, tanto per citare le iniziative concretamente realizzate nel “buio” medioevo. In questo momento sembra che stia soltanto alle armi e alla guerra “risolvere” le questioni. Come se la forza, non la ragione, fosse l’unico strumento per indicare la soluzione migliore per far convivere i popoli.
Anche da parte di persone che sinceramente vorrebbero la pace si sentono accenti decisamente rinunciatari, nei confronti della pace. In Ucraina, si dice, sarebbe necessaria ed urgente la Pace, ma ci si potrà sedere tutti insieme a negoziarla solo dopo la “vittoria finale” dello Stato aggredito. Il cardinale Matteo Zuppi ha sostenuto, nell’omelia tenuta nella Chiesa di San Nicola a Bari, invece che c’è sempre un tempo buono per negoziare, che le condizioni per negoziare si possono costruire sempre. Un ragionamento sensato e fondato nell’esperienza storica sinora conosciuta, ma un ragionamento che pare a prima vista irrealistico.
E perché irrealistico? Detto semplicemente e brutalmente perché non siamo più in grado di pensare la pace nei termini in cui la pensavano Schuman, Adenauer e Monnet prima ancora di Papa Giovanni XXIII. Finiamo per chiamare “pace” l’equilibrio casuale e precario che si ristabilisce, a fatica, dopo ogni conflitto sanguinoso. E magari finiamo per ritenere che la “guerra fredda” o l’ equilibrio del terrore sia l’unica pace possibile e che questo equilibrio vada ricostruito ora sulla bilancia dei nuovi equilibri che fanno capo a USA, Russia e Cina.
C’è in effetti una aporia logica che ci impedisce di pensare la pace. Si contrappongono tra loro Libertà ( indipendenza nazionale) e Pace e si dice: non ci può essere la Pace senza la Libertà, non ci può essere Pace- e quindi trattativa- prima della Libertà riconquistata e cioè prima della “vittoria finale”. Dovremmo rinunciare alla Libertà per avere la Pace? La Pace sembra così essere conseguibile solo grazie al crescente ( crescente fino a che punto?) e ovviamente legittimo sostegno militare all’aggredito, sostegno cui viene affidato l’esito del conflitto in corso.
Ma perché contrapponiamo libertà e pace? Lo facciamo perché la contrapposizione tra il bene-libertà ed il bene-pace deriva dal fatto che non distinguiamo più tra due piani diversi, il piano dei fini e quello dei mezzi, in un mondo in cui i mezzi prendono sempre più il posto dei fini ( esempi classici di questo la moneta, la tecnologia, il progresso tecnico e altro ancora ). Ma se la Libertà è un valore irrinunciabile, un valore in nome del quale si può persino mettere a rischio la vita, essa, di fronte alla pace, intesa come concordia e unione delle volontà, è pur sempre un bene-mezzo, un bene strumentale, un bene che non può che esser finalizzata alla pace come aspirazione profonda dell’essere umano. La Libertà non può invece esser usata contro la pace, e nemmeno per rimpiazzare la Pace.
L’uomo non vive per essere libero, vive per realizzare la sua dimensione relazionale, che ha certo bisogno della Libertà, ma che è il suo vero obiettivo.
Se guardiamo alla storia, notiamo che il ricorso alla violenza difensiva nella guerra di Resistenza per riacquistare la libertà dall’invasore-oppressore non cancellava o alterava mai l’obiettivo finale che era quello della pace tra le nazioni e tra i popoli in guerra e che pur si combattevano. La violenza dei resistenti non doveva e non poteva travolgere quell’obiettivo- non poteva aver nulla in comune con quella, terroristica e feroce, degli invasori- , doveva però in qualche modo essere adeguata e proporzionale, e non travolgere il principio morale di responsabilità. E’ indiscutibile la profonda moralità della Resistenza europea, che non cessava, se non deturpata ed alterata dall’ideologia, neppure quando era guerra civile. Concetto Marchesi incitando i suoi studenti alla lotta armata definiva tale lotta “una battaglia suprema per la giustizia e la pace del mondo”( Appello agli studenti del 28 novembre 1943).
Nessuna guerra per quanto giusta o giustificata può mirare a subordinare alla Libertà il valore supremo della Pace.
La Pace- su cui è facile ironizzare e irridere, considerandola, da parte dei presunti “realisti”, un sogno di “anime belle”- implica sempre la libertà. La implica in un senso profondo, nel senso che la pace vera è accordo di parti che non può costituirsi se non sul fondamento della giustizia, del rispetto dei diritti e dei doveri reciproci. E se la pace è questo, perché dovrebbe aver paura di negoziare la Pace chi combatte per una causa giusta come la propria libertà? Perché chi ha validi motivi per difendersi dovrebbe rifuggire dal negoziato, dal portare cioè in un pubblico confronto con altri Stati, non solo con lo Stato aggressore, le sue ragioni?
Un negoziato, che coinvolga soggetti capaci di mediare, è necessario poi anche perché questa guerra non ha fatto solo stragi e distruzioni materiali e morali in terra di Ucraina, ma ha ferito l’’ordine internazionale ed il diritto delle genti, specialmente in Europa, ma non solo qui. Ha messo in pericolo la sicurezza collettiva, che si basa su norme consuetudinarie stravolte ora da una prassi distruttiva . Quell’ordine e quella sicurezza vanno ora ricostruite anche col supporto delle parti interessate e coinvolte in questo ordine di relazioni internazionali.
Se non si ritengono esistenti le condizioni per negoziare ( e quando mai lo saranno se si mira a una vittoria finale?), o addirittura per una “tregua umanitaria” che almeno simbolicamente ripristini l’idea di un valore supremo della Pace- non resta che la possibilità – avanzata lucidamente da Lucio Caracciolo- che la Pace sia davvero finita e che la guerra fredda ( o pace fredda) sia stata e continui ad essere l’unica pace possibile.
Se fosse così saremmo di fronte ad una tragica mutazione antropologica. L’essenza dell’ uomo sarebbe ridotta a potere, competizione, guerra; il resto sarebbe illusione, sogno o pio desiderio . La guerra tra le nazioni ( combattuta o anche non combattuta) , non la pace, sarebbe la vera normalità. I “profeti di sventura” avrebbero ragione. La Pace – insieme ai diritti umani- il frutto più alto delle riflessioni umane e cristiane dovrebbe cedere al futuro da incubo di una condizione di guerra permanente. Una concezione mostruosa, ma soprattutto una costruzione artificiosa ed inconsistente, che può affermarsi solo se imposta alla ragione umana dall’esterno. Una concezione che non può reggere alla rivoluzione nell’intimo della coscienza umana avviatasi venti secoli fa. Non ci sono minacce né manipolazioni che possano prevalere sulla lucidità della coscienza che riacquista il senso della realtà vera e profonda dell’essere umano e della sua profonda natura relazionale.
Il Natale 2022 ci può ricordare allora che la Pace è un ordine relazionale annunciato agli uomini, non soltanto ai bambini per cui allestiamo i presepi, perché essi lo realizzino nella libertà. Questa è la Pace che non può finire e non finirà. Non è più invece il mito o il simulacro cui attribuivamo con leggerezza quel nome. Questa è la Pace che è sempre più necessaria e forse realizzabile, se sappiamo tenere il cuore saldo, nel momento tempestoso che viviamo, in cui parecchi “colossi di argilla”, che dominano la vita pubblica, stanno crollando o crolleranno sotto il peso degli errori, delle leggerezze e delle menzogne consolidate dall’abitudine, come accade sempre nella storia quando le crisi irrisolte giungono al capolinea.
Che questo Natale ci porti la forza ed il coraggio per andare oltre le macerie morali e per riscoprire le radici da cui si alimenta la vita degna degli esseri umani.
Umberto Baldocchi