Giorgia Meloni, nei giorni scorsi, ha dettato l’epigrafe del suo progetto politico, la cifra distintiva della cultura di governo cui si richiama : “O la va o la spacca”. La legge del tutto e del nulla. Il potere inteso come “comando”.
Senonché, il governo è un’altra cosa. Una concezione del ruolo delle istituzioni d’indole “autoritaria”, per quanto necessariamente tenuta, in considerazione del momento storico, a stare dentro il perimetro rigorosamente democratico di un dettato costituzionale, che, non a caso, si cerca di forzare e di snaturare. Infatti, è esattamente questo il vero traguardo politico che la destra post-missina, a sua volta post-fascista, intende perseguire, secondo una linea di continuità necessariamente via via più tenue eppure ininterrotta con una cultura politica che la Repubblica costituzionale, democratica ed antifascista ha sconfitto, ma che pure cerca di riemergere.
La riforma della Costituzione avanzata dal governo e lo stesso “premierato”, al di là del dato tecnico-istituzionale, hanno appunto una valenza strettamente politica. Sono funzionali ad una sorta di rivincita storica, quasi ci si volesse vendicare di un ordinamento politico-istituzionale nato dalla lotta di resistenza e di liberazione dal nazi-fascismo.
Non si tratta di prima, seconda o terza repubblica e tanto meno di una repubblica nuova, aggiornata, come pur è necessario, in aspetti rilevante del suo funzionamento, ma, per questa destra, si tratta, piuttosto, di una Repubblica “nuova”, che segni una frattura, una discontinuità con la storia del nostro secondo dopo-guerra ed abbia il valore simbolico di una ripartenza, di un nuovo inizio.
In altri termini, la destra non si accontenta di governare, rivendicando, giustamente, il ruolo che l’elettorato le ha attribuito, in un contesto di necessaria dialettica con la pluralità di forze che animano la vita civile del Paese.
Vuole, piuttosto, stabilire una egemonia. Come se, in una sorta di delirio di onnipotenza, volesse assorbire nel proprio orizzonte culturale ed antropologico, il destino dell’intera collettività nazionale. Assumendo il referendum confermativo o meno della riforma, incardinata sul premierato, come il momento della palingenesi di un’Italia “altra”.
Domenico Galbiati