Una cosa è il centro, una cosa l’essere centrali, un’altra il pretendere di essere tutto: centro, destra sinistra aricentro arisinistra aridestra. Aridaje. Arieccolo: vorrebbe essere Fanfani e invece è solo un sovranista piccolo piccolo. Nel senso che non è che abbia un’identità, ma solo una pretesa di paese. Non ha un pensiero, ma un ego. Questo invece sì che è grande: grande grande e come lui c’è grande solamente lui.
Vi ricordate Matteo Renzi? Il ragazzo ha innegabile fiuto per dove tira il vento. Si dirà: dote da politico. Invece no, è qui che casca l’asino. Il vero fiuto del politico è quello che unisce tattica a strategia, progetto ed escamotage. Chi è così è un vero condottiero. Annibale, ad esempio, vinceva per questo, poi però incontrò Scipione che era come lui, ma ancor di più e vinse Scipione. Renzi avrebbe preteso di fare un faccia a faccia nel Foro con Annibale, con la scusa che dopo 16 anni in Italia ormai era il vecchio da rottamare, e avrebbe dimostrato che non sapeva nemmeno cosa fosse una legione. Non ridete: è quello che gli è successo con Ciriaco De Mita ai tempi del referendum.
Ora ci riprova. Ha capito che il sistema non regge (siamo concordi) e che al centro c’è spazio (concordiamo anche in questo: come si vede non abbiamo la mente obnubilata dal pregiudizio). E allora ecco cosa fa: ci si fionda, e così facendo intende prendersi delle vendette sui vecchioni che gli hanno impedito di governare un paio di anni fa. Miracoli della narrazione autoreferenziale: in realtà il 4 dicembre 2016 perse e di brutto un referendum popolare e dovette lasciare Palazzo Chigi. Scommettiamo che Ciriaco De Mita se ne ricorda e gongola ancora.
Lo perse, quel referendum, perché il ragazzo aveva puntato veramente troppo in alto: prima aveva ritoccato radicalmente la legge elettorale, per cui un partito con il 25 percento dei voti avrebbe fatto cappotto come ai tempi della Legge Acerbo di mussoliniana memoria. Poi a colpi di maggioranza aveva sfondato come un ariete la Costituzione, scrivendo articoli di tre pagine intere e facendo in modo tale che quel partito con quella percentuale avrebbe potuto prendersi, nell’ordine: i presidenti delle Camere, il presidente del consiglio e da ultimo anche il presidente della Repubblica. Bingo. Come in un tirassegno di fiera di paese. Ancora adesso non si capacita del fatto che qualcuno – la maggioranza degli italiani in un voto popolare diretto – gli abbia potuto dir di no. Non c’è intervento che lui o il suo pubblico devoto non inauguri con questa frase di tiro: “Se fossero passate le riforme tutti questi problemi non ci sarebbero”. Il pianto del fidanzato abbandonato dalla fidanzata.
Insomma, si sarà capito che Renzi non ci sta politicamente molto simpatico: lo riteniamo concretamente e culturalmente un pericolo per la Costituzione democratica. Ma questo è solo un primo punto.
Il secondo punto è che noi siamo nati per rimettere insieme i cattolici, fin qui divisi stupidamente tra cattolici della morale e cattolici del sociale. Siamo tutti l’una e tutti l’altra cosa. Renzi sarà certamente cattolico, ma non è né della morale, né del sociale. Sui principi etici è sempre stato per lo meno ballerino. Con lui leader, il Pd ha fatto cose inenarrabili nel campo dei cosidetti diritti gay ed affini. Maria Elena Boschi, poi, è stata la ” frontrunner” dell’ala laicista. Non poteva essere altrimenti: Renzi è anche colui che ha preso il Pd e lo ha portato nel gruppo socialista del Parlamento Europeo.
Sui principi del lavoro e della solidarietà sociale, anch’essi a nostro avviso non negoziabili, bastano due parole: Jobs Act. Solo una lingua lunga come la sua poteva spacciare contratti di lavoro di tre anni per contratti di lavoro a tempo indeterminato. Indeterminato per tre anni: che si vuole di più, l’eternità?
La precarizzazione la stiamo ancora scontando. Chiedete al rider che a Milano, per far prima e guadagnare – a cottimo – un paio di euro in più è finito sotto un tram, perdendo una gamba.
Aggiungiamo che per noi è non negoziabile anche il valore della pace. E lui che ti va a combinare? Voleva mandare i nostri soldati in Libia, senza nemmeno un mandato internazionale dell’Onu. La sua collaboratrice Pinotti disse anche la cifra: 150.000 uomini. Una vera invasione. Poi qualcuno gli spiegò che in Libia sono bravini a maneggiare il coltello, e che anche il maresciallo Graziani ci aveva rimesso gli attributi, e allora desistette.
Ci si può fidare di tanto cinismo unito a tanta faciloneria? Il suo recente e noioso dibattito con Salvini ha dimostrato che i due vogliono solo che nasca un nuovo bipolarismo. Matteo contro Matteo. Sovranismo di provincia contro sovranismo di paese.
Ecco allora che, come per il dibattito evocato da Nanni Moretti, di fronte alla sola idea di un ritorno dell’Arieccolo non possiamo che rispondere: No, Renzi no. Quello che abbiamo visto ci è bastato.
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