Noi guardiamo all’Europa. Ma l’Europa guarda a noi. E questo perché sono andati ampliandosi, non solo l’insieme dei rapporti economici, ma anche l’analogia dell’evoluzione sociale con la conseguente dilatazione del quadro di cultura politica, oggi, di riferimento comune. E questo, in particolare, concerne i diritti fondamentali universali.
Stavolta il Rapporto, il quinto in materia, è stato reso noto con un certo ritardo. Anche per non condizionare il periodo elettorale e le trattative per giungere alla formazione di una maggioranza in sede europea.
Nel frattempo, però, vecchie e nuove questioni, come si evince dalle raccomandazioni della Commissione, hanno fatto diventare l’Italia un specie di osservato speciale.
A Roma, dopo il capovolgimento del baricentro politico dal centrosinistra al centrodestra, in sostanza, Bruxelles raccomanda d’impegnarsi nella digitalizzazione dei tribunali penali e procure; di adottare una proposta legislativa sui conflitti di interessi e istituire un registro operativo per le lobby; di regolamentare le informazioni sui finanziamenti a partiti e campagne elettorali; di tutelare i giornalisti e garantire l’indipendenza dei media; di creare un’istituzione nazionale per i diritti umani in linea con i principi Onu.
Segnalate pure alcune criticità, in particolare, per quanto riguarda il progetto d’introdurre il Premierato e la cancellazione delle norme sull’abuso d’ufficio.
Per l’attuale maggioranza in Italia sorge, dunque, un problema in più. Aggravato dal fatto che, per scelta esclusiva di Giorgia Meloni, essa si trova in Europa in una posizione minoritaria, cioè al di fuori del centro degli ambiti decisionali che contano. Lo stiamo già vedendo con i nostri che, finora, hanno arrancato senza successo nel reclamare posizioni importanti.
Già le nomine delle Commissioni parlamentari di Strasburgo stanno definendo un quadro diverso da quello auspicato dalla Premier. E persino Forza Italia, che pur continuando a militare dentro il Partito Popolare Europeo, ricerca il suo utile nella maggioranza di estrema destra nel nostro Paese, non tiene conto che in Europa le forze di centro hanno confermato un’intesa di segno opposto, con i socialisti e i liberali, ed hanno persino aperto ai verdi. Cosicché Forza Italia si ritrova senza posizioni veramente significative. Un’ambiguità dettata da ragioni di partito, in una logica di puro potere che la costringe ad accontentarsi solo di una delle vicepresidenze del Ppe.
Giorgia Meloni tace dopo tanto declamare su come avrebbe cambiato l’Europa, dove intendeva portare le stesse trasformazioni che, a suo avviso, era riuscita a introdurre in Italia. Forse tace anche perché ha capito che meno continua a reclamare e più, forse, potrebbe rimediare alla posizione di criticità in cui si è cacciata da sola. Volendo presentarsi sulla scena europea come Presidente del consiglio di un importante nazione come l’Italia, ma senza rinunciare a mettersi alla testa di una frazione di una destra che nel proprio Dna ha sempre avuto una forte ostilità nei confronti dell’Europa.
Il Rapporto europeo pubblicato ieri, dunque, dovrebbe costituire un’ulteriore occasione di riflessione e, se possibile, di scelta. Esso critica tutto ciò che di qualificante la maggioranza e il Governo italiano hanno voluto mettere in cantiere da quando sono a Palazzo Chigi, dall’ottobre 2022.
Particolarmente significativa la parte in cui l’analisi della Commissione affronta la questione dell’informazione. Questa è diventata rilevante soprattutto nella RAI, l’Ente che dovrebbe garantire il servizio pubblico pagato dai cittadini. Si è perso, infatti, molto di quel pluralismo il cui raggiungimento, e difesa, dev’essere considerato uno dei baluardi della moderna Europa libera e democratica.
Un tema che, in realtà, è sempre più vivo e sentito anche da una gran parte degli italiani dei quali continua a farsi portavoce ed interprete, anche su questa materia specifica, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Lo abbiamo già accennato. Per alcuni è il momento di scegliere quale idea d’Europa si voglia collaborare a costruire. Non è che limitandosi, invece, ad una sì importante battaglia sulla “qualità” del Commissario da vederci riconoscere, si faccia molta strada in un Europa che, almeno su alcune cose, resta un insieme di finestre aperte attraverso cui tutti guardano e giudicano gli altri. E, del resto, è giusto così.
Giancarlo Infante