Papa Francesco, per l’ennesima volta, ha ricordato i gravi peccati di “omissione” da parte dei grandi paesi che poco hanno fatto per evitare questa lunga stagione di guerra. Stagione che rischia di protrarsi più del tollerabile, e sta aprendo scenari sempre nuovi e sempre preoccupanti.

In realtà, il riferimento del Papa ai “grandi paesi”, ci tocca molto e molto da vicino. per le responsabilità dei paesi dell’Occidente. Che, andando al sodo, sono gli Stati Uniti e l’Europa. Pur senza dimenticare la complessa “catena di comando”, e il ruolo del cosiddetto apparato militar-industriale, che in taluni casi vive quasi di una vita propria, e sembra “guidare” governi e popoli, invece che essere al loro servizio, il termine “omissione” si colora anche di responsabilità “attive” che non possono essere sottaciute.

Nel caso del conflitto ucraino, ad esempio, ci si può chiedere cosa sia stato fatto perché fosse rispettato, da parte di tutti, il famoso Protocollo di Minsk. E’ invece evidente che si sono svolti fatti, alla luce del sole o meno, che spiegano la significativa espressione usata dal Pontefice sulla Nato che ha abbaiato alla porta della Russia.

E molto altro potrebbe essere riportato alla memoria, per ciò che riguarda la più che annosa questione del conflitto israeliano palestinese. Gli Accordi di Oslo del 1993 sono stati lasciati in balia di altri eventi che più, in quegli anni del dopo caduta del Muro, ci interessavano.

Ma un po’ in giro per tutto il mondo troviamo guerre e conflitti le cui responsabilità vanno, in maniera anche molto evidente, addebitate alle potenze e ai colonizzatori occidentali. E non è neanche necessario risalire alla pratica dello schiavismo, e ai genocidi commessi a danno di pellerossa e aborigeni di Australia ed Africa da una politica di espansione colonialista che ha distrutto i millenari sistemi sociali di altre terre e di altri popoli, ed inventato dal nulla, tagliando con semplici tratti di penna su approssimate carte geografiche, i confini che hanno finito per dividere e contrapporre i popoli del Continente nero e del Medioriente. Del tutto fondata appare perciò la domanda: ma a che cosa ci riferiamo quando parliamo di Occidente e dei suoi valori?

Qualche sera fa Federico Rampini, parlando in televisione del suo ultimo libro “Grazie Occidente”, ci ha spiegato qualcosa che nessuno nega: che Occidente significa soprattutto scienza e sviluppo in campo medico e farmaceutico. Il problema, però, è che chi non fa parte dell’Occidente vede anche altro, e porta con sé una plurisecolare e pesante valutazione. E anche sull’oggi, e senza andare a parlare delle guerre in cui l’Occidente finisce in un modo o in un altro per essere partecipe, quella valutazione da parte degli altri, quelli che occidentali non sono, tiene in considerazione tanti tipi di dipendenze e di sfruttamenti che continuano a permanere, anzi spesso sono più forti di prima.

Un solo esempio: com’è realizzato oggi il controllo sulle sementi?  Dato che queste, in linea di massima, sono in mano alle grandi multinazionali, e che se le fanno pagare a peso d’oro. E dato che, in molti casi, a seguito dei trattamenti genetici subiti, devono essere riacquistate perché non sono come quelle di una volta naturalmente riprodotte dalle colture e dalle piante del raccolto precedente?

Tanti anni fa, degli amici americani mi chiesero: “come mai siamo tanto odiati nel mondo?”. Non ebbi loro il coraggio di rispondere per non rompere un’amicizia. Temo che ciò che sta accadendo nel mondo, prendiamo a caso lo scontro aperto in Palestina, porta a formulare la stessa esortazione pure a noi stessi: Occidente sì, ma con meno retorica per favore…

Giancarlo Infante

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