La violenza negli ospedali è un problema, ma la militarizzazione invocata dal presidente della Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri), Filippo Anelli, non è la soluzione. Neppure durante gli anni bui del terrorismo è stato militarizzato il Paese. I fatti sono oggettivamente gravi e la preoccupazione del presidente della Fnomceo è del tutto legittima. È inaccettabile che chi lavori per la vita degli altri si trovi a dover fare i conti con la tutela della propria. Tuttavia, derubricare il problema a mera questione di ordine pubblico è non voler guardare alla sua complessità che ha vari livelli di responsabilità, non esclusa quella dei medici e del personale sanitario.
L’esasperazione della gente non è sempre il portato di atteggiamenti di prepotenza o di colpi di testa, quantunque vi siano e non possano essere sottaciuti, ma il sintomo di un malessere ben più profondo a cui occorre dare risposte analizzando il fenomeno in tutte le sue sfaccettature. Andare alla radice del problema, alle sue cause è l’unico modo per risolverlo. Ma proprio questa impostazione difetta: si guarda l’effetto ma non le cause. Eppure vari segnali da tempo avrebbero dovuto far riflettere.
Nel 2023 il ‘Rapporto civico sulla salute’ di Cittadinanzattiva, valutando i tempi di attesa per visite specialistiche di quattro regioni (Emilia-Romagna, Lazio, Liguria e Puglia) riscontrò che proprio la Puglia era quella messa peggio. L’indagine della Fondazione Gimbe sulla spesa sanitaria delle famiglie italiane, presentata lo scorso aprile, ha evidenziato che, nel 2022, la spesa dei pugliesi è cresciuta del 26,1 per cento, la più alta tra le regioni, segno di una sanità regionale in affanno. Contestualmente la rinuncia dei pugliesi alle cure, con il 7,5 per cento, al di sopra della media nazionale, pone la regione al 6 posto tra quelle italiane.
Il rapporto Istat ‘Noi Italia’ del 2023 vedeva un preoccupante incremento della povertà relativa: un milione di persone e circa 400 mila addirittura in povertà assoluta. Questi aspetti potrebbe avere qualcosa a che fare con l’esasperazione della gente di fronte all’insufficienza dei servizi sanitari e all’impossibilità di potersi curare per ragioni economiche? È una domanda che nessuno si pone, ma il problema va pure guardato in quest’ottica. Indubbiamente è auspicabile un nuovo patto tra medico e malato, ma solo un’adeguata risposta ai bisogni di salute potrà ricomporre, in un ambito di autorevolezza e solidarietà, un rapporto di fiducia profondamente sfibrato.
Pasquale Pellegrini
Pubblicato su Il Corriere del Mezzogiorno