Come tutti, almeno così mi piace credere, mi interrogo di questi tempi sulla necessità di ricostruire un tempo di pace.
La prima considerazione è il rimpianto per quanto si è perduto.
Perché quando le armi tacciono è il momento di costruire percorsi di pace. Invece, quel tempo è spesso impiegato altrimenti come se la guerra fosse una realtà impossibile da concretizzarsi nel futuro.
Allo stesso tempo, con enorme leggerezza, non si ascoltano le parole di odio che provengono da politici, storici, imprenditori, persino da artisti, nell’errata convinzione che la democrazia sia la libertà di dire quello che si vuole, anche nel sostenere tesi che in futuro possono concretizzarsi in azioni di guerra.
Perché le guerre non sono mai un fatto improvviso, esse hanno bisogno di una forte opera culturale di convincimento delle élite e delle masse.
Succede così che la democrazia, anziché essere al servizio della verità, diviene lo strumento attraverso il quale si esprime l’odio, pur nascondendosi dietro il diritto di libertà di parola.
I nazionalisti, i patrioti, quelli che, travisando le parole del Santo Padre, parlano di “diritto a non emigrare” proteggono classi dirigenti corrotte e sanguinarie che si accreditano come regolatori dei flussi migratori.
Pensiamo ad esempio al revisionismo storico. Esso equipara vincitori e sconfitti della Seconda guerra mondiale, semplicemente perché anche i vincitori sono stati violenti.
Fiumi di parole che preparano il futuro, e senza accorgercene l’arrivo di qualcuno che ne trae le conseguenze ed imbraccia il fucile.
Quanto tempo perdiamo.
La seconda questione riguarda il mio smarrimento sulle tesi pacifiste.
Soprattutto, nella parte in cui non si spiega come, nelle situazioni di guerra, si riesca ad arrivare alla pace.
La pace è possibile a tre condizioni che si devono verificare contemporaneamente.
1) I contendenti (diretti e/o indiretti) arrivano alla constatazione che i costi economici e sociali della guerra sono più alti dei resto;
2) qualcuno deve materialmente (militarmente) garantire lo stato di pace;
3) qualcuno deve pagare la ricostruzione delle energie spese durante la guerra.
Pensiamo alla Corea, pensiamo a Cipro, pensiamo all’Irlanda del Nord.
Situazione diverse che hanno trovato nella concomitanza delle tre condizioni una soluzione possibile, anche se il rischio che tutto cambi velocemente esiste sempre.
La pace è nella conversione dei cuori e se questa non avviene, ne siamo abbastanza sicuri, dovremmo almeno cominciare a lavorare sulle condizioni descritte sperando di trovare uomini di buona volontà.
Il resto potrebbe essere solo una perdita di tempo.
Luigi Milanesi