Lo scontro Israelo-Hamas, erroneamente definito da molti mass-media Israelo-Palestinese, preparato da Hamas e dai suoi danti causa da molto tempo (almeno da due anni), da parte di Paesi interessati (Russia, Cina, Iran, in parte Turchia, Siria, Yemen, in parte Libano e pochi altri) viene declinato come uno scontro contro il Global South per imporre una egemonia da parte degli USA e dei suoi alleati, verso i quali ci si ribella.
Le stesse affermazioni del Segretario Generale dell’ONU Guterres hanno lasciato ampio spazio ad interpretazioni di condanna di Israele per la reazione all’attentato terroristico del 7 ottobre, mentre i militanti di Hamas, i cui capi stanno in Qatar e accumulano patrimoni personali di miliardi di dollari sottratti alle donazioni ai palestinesi come aiuti umanitari, sarebbero dei liberatori del popolo palestinese.
È una vulgata che serve solamente ad incendiare le piazze del mondo, anche in quei Paesi che hanno sempre sostenuto la causa palestinese, per costringere i governi a prendere le armi contro tutto l’occidente a partire da Israele.
D’altro canto, se i Palestinesi non avessero avuto all’interno dei Movimenti irriducibilmente antisemiti, che attivano lo scontro per impedire ogni tentativo di accordo di pace, avremmo avuto la costituzione e il riconoscimento di due Stati a partire dall’incontro a Camp David del 2000 tra il Presidente Ehud Barak, Yasser Arafat e Bill Clinton e conclusosi con un accordo in cinque punti per raggiungere una pace definitiva.
Superato ormai da molto tempo lo scontro tra Israele e il mondo arabo, sin dal 1979 con l’accordo di pace tra Egitto e Israele, resta il problema dei rapporti tra Israele e i Palestinesi, che si potrebbe normalizzare se gli stessi Movimenti irriducibilmente antisemiti non si attivassero ogni qualvolta si intravede la soluzione pacifica.
Hamas, che non rappresenta il popolo palestinese, ma una piccolissima minoranza, ha compiuto l’attentato terroristico del 7 ottobre per fermare un processo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita a conferma degli “Accordi di Abramo”, stipulati tra Israele e Emirati Arabi Uniti e Bahrein, patrocinati dagli USA.
L’Iran con i suoi pasdaran, gli Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen e tutta la rete di organizzazioni terroristiche di matrice Isis, Daesh, Al Qaeda, ecc., con motivazioni che sono islamiste, economiche e con aspirazioni da media potenza regionale, che tenta di realizzare l’arricchimento dell’uranio, governa tutto l’apparato terroristico non solo del Medio Oriente, ma anche quello costituito da cellule di Shahīd (martiri) sparsi in tutti i Paesi occidentali.
Alcuni paesi, che hanno immaginato di essere il Global South rispetto all’occidente, mantengono buone relazioni con l’Iran, al fine di innescare di volta in volta dei focolai nei paesi occidentali o filo-occidentali, per saggiare le reazioni e indebolire il credito internazionale politico ed economico.
Sarebbe opportuno che si ricordasse in ogni caso un principio che tutti terrorismi di qualsiasi matrice nascono in ambienti fondamentalisti, radicali, estremisti, integralisti e sono perpetrati da gruppi indottrinati fino al fanatismo estremo; tanto è successo in ogni epoca e in ogni latitudine e non ha risparmiato nessuna religione e nessuna ideologia.
Proprio per tale motivo il terrorismo non può essere giustificato in nessun modo, perché prende di mira – per avere più risonanza – cittadini inermi di ogni età e di ogni condizione sociale; se qualsiasi guerra porta vittime civili anche numerose, ma si combatte tra eserciti contrapposti, il terrorismo crea solo vittime civili per suscitare il massimo dell’impatto sull’opinione pubblica e approfitta dell’elemento sorpresa come tattica prioritaria.
La nostra sensibilità umana e il livello di civiltà che abbiamo raggiunto non ci consente di giustificare in alcun modo gli atti di terrorismo e quindi nemmeno quello di Hamas, mentre consolida la nostra vicinanza al popolo israeliano per le numerose vittime avute nell’attentato e, soprattutto, per essere vittima millenaria di emarginazione e persecuzione fino alla “soluzione finale”, attuata dal nazismo.
Il senso di giustizia ci porta poi a ritenere che i fautori del terrorismo debbano essere condannati per soddisfare l’innata etica di stare dalla parte delle vittime e mai da quella dei carnefici, quindi la reazione di Israele di ricercare e punire gli autori dell’attentato è legittima e la responsabilità delle vittime civili, che una azione di rappresaglia può provocare, ricade esclusivamente sui terroristi, perché sono convinto che Israele farà di tutto per salvaguardare la popolazione civile, che è usata come scudo umano dei terroristi.
La spiegazione per la dichiarazione di Abu Mazen di indire la “giornata della rabbia” sta nel tentativo di controllare la reazione della piazza palestinese, che come tutte le piazze del mondo, diventa ingovernabile, violenta ed eccessiva quando viene istigata a reagire in maniera provocatoria (recentemente in Francia la piazza in molte città ha creato incendi per protestare contro la politica di Macron; anche lì la piazza, fomentata dall’estrema destra e dall’estrema sinistra, diventa solamente “piazza per la violenza” e sfugge di mano anche agli organizzatori delle proteste che, forse ma non ne sono sicuro, pensavano di governare le reazioni dei propri seguaci).
Ribadendo la nostra solidarietà al popolo israeliano in maniera incondizionata e la nostra condanna verso ogni forma di antisemitismo, anche all’interno di una cultura più ampia di lotta ad ogni forma di persecuzione razziale, dobbiamo essere vicino anche al popolo palestinese, bisognevole di ogni aiuto umanitario, vittima di Hamas e del terrorismo che pratica.
I paesi arabi, almeno quelli più strutturati e consolidati che non temono la piazza e quelli mediterranei dovrebbero dissociarsi dal terrorismo per essere solidali con i palestinesi e porre fine agli equivoci di identificazione che Hamas fa con i palestinesi. Una grande solidarietà deve essere espressa al popolo iraniano, in particolar modo alle donne, perché sono schiacciate da un regime teocratico, che non gode più della fiducia popolare e che vorrebbe vivere laicamente.
Infine, gli ultimi episodi verificatisi in Francia, che hanno visto sui muri dipinte numerose “stelle di David” per indicare la presenza di Ebrei, e in Austria con i disegni della “croce uncinata” sui muri del Cimitero ebraico, e in Italia, dove sono state imbrattate di vernice le “pietre d’inciampo”, poste a memoria dei deportati ebrei, ci conferma che l’antisemitismo è una malapianta che ancora non è stata sradicata e quindi sarà necessaria una vigilanza costante e perenne per neutralizzare i gruppi antisemiti, come segno di affermazione di una civiltà che metta al centro il rispetto dell’uomo e di tutti gli uomini, senza nessuna distinzione.
Vitaliano Gemelli