In una vecchia canzone degli Audio2, “Alle 20”, il testo ad un certo punto recita:”….siamo contenti di rivedere i vecchi film….”.
Io, giovedì 31 agosto, ero contento di rivedere per l’ennesima volta il film “300”, potente saga storica sulla vicenda umana e guerresca dell’eroico e coraggioso Re di Sparta Leonida e dei suoi 300 compagni d’armi, alle prese alle Termopoli con il persiano Serse. Ad un certo punto, in una pausa, preso da irrefrenabile impulso allo zapping, mi sono imbattuto in un acceso dibattito incentrato sulle parole rivolte da Papa Francesco ai giovani cattolici russi. Due giornalisti, Natalie Tocci, della Stampa (di proprietà di Alan Elkann), e Stefano Feltri, ex direttore del Domani (di proprietà di Carlo De Benedetti, un po’ di dietrologia è a volte necessaria) criticavano in maniera esageratamente pesante e strumentale le parole di Francesco sulla grande tradizione culturale russa: a difendere le parole del Papa, in minoranza, ma molto combattivo, Marco Tarquinio.
Chi vuole può rivedere la puntata (CLICCA QUI il dibattito inizia verso la fine, dal minuto 102 circa). Confesso di ritenere scandalose e frutto di una colpevole mistificazione le affermazioni della Tocci e di Feltri: accusare il Papa di sostegno di fatto ad una visione imperialista della Russia è il solito becero esercizio di strabismo politico da parte di chi è evidentemente servo di un diverso imperialismo, che tra l’altro per molti è con tutta evidenza alla base di questo conflitto. Definire poi il Papa cinico e pasticcione da parte del presuntuosissimo Feltri, in fondo solo un rozzo leccapiedi, dovrebbe aprire gli occhi a molti sulle cause remote di questa guerra.
La risposta di Tarquinio, giustamente molto indignato, è stata adeguata e decisa, tra l’altro rifacendosi correttamente, a mio avviso, alle vicende del Kossovo, tornate d’attualità di recente. Ma quando per l’ennesima volta Feltri ha trovato da ridire anche sulla presenza di una donna ucraina e una russa alla Via Crucis (difficile ritrovare un punto più basso nella pur accesa diatriba in corso tra le opposte visioni), ha ripetuto la litania pappagallesca dell’aggredito e dell’aggressore, mi sono ricordato di un illuminante articolo di Angelo D’Orsi su “Il Fatto Quotidiano” del precedente 27 agosto, nel quale si parlava della cosiddetta “Trappola di Tucidide”. L’espressione, poi entrata nell’uso comune della politologia, era stata coniata da un professore di Harvard, Graham Allison, in un articolo sul “The Financial Times” nel 2012, rifacendosi alla “Guerra del Peloponneso” tra Atene e Sparta, durata trent’anni. In breve, secondo tale teoria, quando una potenza egemone, al tempo Sparta, vede minacciata la propria supremazia, al tempo da Atene, fa in modo, con grande raffinatezza tattica, che sia l’antagonista a passare all’azione, passando così per l’aggressore. Allison, nel suo libro “Destinati alla guerra” del 2017, si riferiva al confronto tra USA e Cina, sempre di attualità, oggi provvisoriamente sostituito da quello USA-Russia, spiega D’Orsi.
Gli USA hanno oggi il ruolo di Sparta, la Russia quello di Atene. Non potendo i primi tollerare la rinascita russa, con una serie di azioni politiche, militari e ideologiche, hanno messo Putin con le spalle al muro, facendolo cadere nella “trappola di Tucidide”: l’aggressione all’Ucraina. Ma, continua D’Orsi, vi è un ulteriore avvallo a questa teoria, e viene da un generale e studioso tedesco, Heinrich Joris von Lohausen, coinvolto nella congiura contro Hitler e sfuggito alla vendetta, tanto da ritrovarsi a Norimberga nelle vesti di accusatore di Goering. Ha spiegato il generale che è sempre necessario distinguere l’aggressore “strategico” dall’aggressore “operativo”: il primo prepara le condizioni che spingeranno il secondo ad agire. Ed ecco la grande verità pronunciata con coraggio da Papa Francesco e contestata, con cialtronesca sicumera, dai due critici: l’abbaiare della NATO. I due fenomeni vorrebbero in pratica che il Papa aderisse alle loro tesi, ogni ulteriore commento è superfluo.
Sempre D’Orsi ci ricorda che nella storia è rimasto il motto: ”Se Atene piange, Sparta non ride”, a ricordare come la lunga guerra diventasse una sconfitta per tutto il mondo greco, che perse la sua egemonia sul Mediterraneo. In questa guerra attuale, se il conflitto proseguirà ad oltranza, ci sarà sicuramente non un vincitore, ma una sconfitta generale e tutti ne saremo coinvolti.
Fortunatamente, sono poi potuto ritornare a Leonida e alla guerra vecchio stampo, che, paradossalmente, mi è sembrata, pur nella crudezza delle immagini, meno scioccante del dibattito cui avevo assistito: si parlava infatti di valori quali amicizia, lealtà, coraggio, e soprattutto libertà. Anche in quel lontano conflitto alcuni traditori venduti avevano potuto compiere le loro nefandezze, ma per le loro azioni avevano poi comunque pagato il massimo prezzo.
Massimo Brundisini