Il presidente nazionale delle ACLI ha scritto sull’Espresso che il taglio dei parlamentari, che sarà oggetto di referendum prossimamente, è “un impoverimento delle istituzioni e della democrazia”.
Una tesi riportata anche nell’articolo di Luigi Ingegneri ( CLICCA QUI ) che non si schiera ma sottolinea alcuni fatti: primo che oggi mancano palestre politiche dove possa formarsi la classe dirigente , in primo luogo i partiti. Secondo che “ il tempo delle riforme è scaduto: bisogna rifondare, ricostruire. Partendo dalle fondamenta, ovvero dalla legge elettorale.” Si potrebbe dire che più che di riforme ci vorrebbe una “ rivoluzione”.
Ragionando e riflettendo “ad alta voce” mi pare che i contrari al taglio ne facciano più una questione di quantità che di qualità. Ammettono che oggi troppi parlamentari sono inadeguati al ruolo, che per molti è l’unico reddito possibile e quindi sono ancora più casta di prima. Quindi non rappresentano adeguatamente gli elettori, il popolo, pur essendo in numero abbastanza elevato.
Ma per loro “il numero è potenza”, come si diceva in tempi più bui di questi.
A me pare invece che più incapaci ci sono peggio è. Credo che pochi oggi conoscano il nome dei loro rappresentanti in parlamento. Manca quasi del tutto il legame con i territori. L’abolizione delle preferenze, la cancellazione dei collegi uninominali ha fatto sì che oggi i parlamentari siano de fantasmi ben pagati. Fantasmi la cui esistenza deriva esclusivamente dalle leadership dei partiti, delle correnti, delle consorterie, dei movimenti, dagli influencer…
Non sarei quindi preoccupato che una parte di questi personaggi restasse a casa. Forse il numero ridotto permetterà una migliore selezione, limiterà la pletora di portaborse e affini che affolla la Roma dei palazzi politici. Ci farà risparmiare qualche soldo, anche se pochi, renderà meno farraginoso il funzionamento delle istituzioni.
Insomma, non credo che ci si debba soffermare sulla quantità, quanto discutere della qualità e creare meccanismi che la favoriscano.
Ero favorevole al monocameralismo, come lo era la maggioranza degli italiani, secondo tutti i sondaggi, ma che votarono in uggia a Renzi.
Sono per meno parlamentari, ma per ripristinare il finanziamento pubblico dei partiti: in modo decente e non scandaloso, il minimo indispensabile. Non certo come fu fatto consentendo a tesorieri di far sparire milioni di Euro (Margherita) o di acquistare diamanti (Lega).
Bisogna trovare meccanismi che favoriscano la qualità a partire dalla legge elettorale. La qualità significa anche che i territori siano decentemente rappresentati in modo che la rappresentanza politica sia uno degli elementi che favorisce uno sviluppo armonico del Paese e non solo di alcune aree (vedi Milano e per certi versi Roma).
Ci vuole quindi una legge elettorale che preveda un minimo di rappresentanza anche per le aree meno popolose: ad esempio introducendo correttivi che tengano conto non solo della popolazione ma dell’ampiezza di un territorio.
Infine ripristinerei , ma in numero ridotto , una rappresentanza intermedia fra i comuni e le Regioni, come erano le Province. Vorrei uno stato leggero (che non nazionalizza né aerei né autostrade) che non tanto fa, ma fa fare. Che non è l’approdo di tutte le inefficienze e gli scansafatiche.
Non credo che ci voglia una rivoluzione: spero siano sufficienti poche riforme sagge. Sappiamo qual è la triste storia delle rivoluzioni, ci sono bastate quelle del Novecento…
Paolo Girola
Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione i Popolari del Piemonte ( CLICCA QUI )