Parliamo di censura, palese o tacita, da quella politica a quella religiosa
Pur essendo un Paese democratico da oltre 76 anni, si tende ad escludere dal dibattito pubblico il tema censura. Evidentemente, perché ciò potrebbe infastidire, non poco, il “manovratore” cioè il Machiavelli del momento.
Il potere politico sa bene l’importanza dell’informazione come diritto sovrano ed inalienabile del popolo (bue?) e proprio perciò sia i governi di sinistra, sia di centrodestra o di destra, come quello attuale, hanno di solito qualche problema di conflittualità con gli operatori dei media.
In generale si conoscono abbastanza poco le varie forme di censura, quale provvedimento disciplinare sancìto ed espressamente previsto da un ordinamento religioso o da un regolamento statale – quello parlamentare, per antonomasia, è volto a tutela del decoro e dell’ordine costituito. Peraltro, la censura è considerata, da sempre pragmaticamente, uno degli atti più odiosi e/o antidemocratici o dispotici che possa colpire il cittadino, quale che sia giornalista, vignettista, scrittore, artista o individuo, libero di esprimere la propria opinione.
Un esempio “eccellente” di quanto possa essere deleteria e nefasta la censura: correva l’anno 1944 e l’avvocato Teodato Albanese, cerignolano residente a Roma presso Castel Sant’Angelo, finisce in manette ed incarcerato a Regina coeli con l’accusa del “reato d’opinione” dopo che gli viene ispezionata la corrispondenza con ambienti diplomatici londinesi. A seguito dell’attentato di via Rasella egli cade nella retata dell’esercito nazista ed, infine, assassinato con un colpo di pistola alla nuca nelle ormai note Fosse ardeatine!
Tutto ciò premesso, ogni italiano di buon senso democratico, o di un minimo di civismo, dovrebbe reagire e non subire passivamente la campagna disinformativa che punta a valorizzare la reticenza o il disinteresse in merito, ad esempio, al “caso Pignatone” che investe, comunque, gli anni più bui e densi tuttora di dubbi della nostra Repubblica.
Qualsiasi vulgata, garantista o meno a difesa del principio della presunzione d’innocenza non potrà mai, legittimamente, giustificare la scarsa attenzione dei quotidiani nazionali, che possiamo definire pilotata o assecondata dolosamente.
Così come non è logicamente, né politicamente accettabile, che il Parlamento deliberi, inopinatamente, di costituire una commissione d’inchiesta che si limiti a indagare in ordine all’attentato di via D’Amelio, leggasi Borsellino, rinunciando a priori a riscoprire e riapprofondire punti oscuri della strage di Capaci, leggasi Falcone, dicasi “patto Stato/mafia”.
Queste, strane forme di censura ed autocensura fanno il paio con la visione ottusa e faziosa di certa destra diciamo “estremista di governo”, come la frase infelice e grave pronunciata dal presidente della Commissione cultura di Montecitorio, tendente in modo folle a sminuire il peso atroce della cosiddetta “strategia della tensione” degli anni ‘70/80. Unanimemente, è stato evocato il concetto essenziale ed anche elementare per cui le sentenze passate in giudicato non si contestano, dato che sono acquisite alla storia della nazione.
La libertà di stampa non può incontrare limiti non trasparenti che scaturiscano da poteri occulti o propri della criminalità organizzata. In caso contrario il nostro sistema politico sarebbe colpevole di uccidere per la seconda volta gli innumerevoli servitori dello Stato che non si sono tirati assolutamente indietro, battendosi, caparbiamente, fino in fondo per il bene e la salvaguardia della comunità.
Michele Marino