Corruzione, crisi economica, crisi dei valori, crisi delle istituzioni, crisi dei partiti, sfiducia generalizzata, odio e disprezzo, cattivi sentimenti sociali, disperazione: sono, a puro titolo esemplificativo, stati di fatto e stati d’animo che ritroviamo nella storia e nella cronaca, nella filosofia e nella scienza della politica, nella letteratura.
Spiriti solitari e coraggiosi, li hanno manifestati perfino davanti alle Assemblee elettive. Ma, a ben pensarci, assai di rado, per l’ovvia considerazione che la percezione della responsabilità di ruolo è spesso attutita dall’esercizio deviato delle responsabilità.
E’ il noto fenomeno ben descritto dall’immagine del politico di turno che denuncia vizi e malefatte di cui, direttamente o indirettamente, è parte, per esserne l’autore o per non esser capace di stroncare quei fenomeni sulla base dei poteri-doveri assegnatigli dalla volontà popolare e non esercitati.
Ora, al manifestarsi in forma accentuata e virulenta della corruzione e di un autoritarismo sempre meno prudente, ed insieme al rafforzarsi di sentimenti di resistenza per contribuire a cercare il bene comune senza farsi corrompere, torna alla mente, in chi li ha vissuti o almeno li ha esaminati, la situazione della fine degli anni ’80 e dei primi anni ’90.
Non è interessante, o almeno non lo è in questo momento, approfondire l’analisi per accertare se si sia o no nella medesima condizione di grave disagio e preoccupazione che indusse gli italiani a prendere posizione contro il sistema. Fu fatto, lo ricordiamo bene, nelle forme di una partecipazione diretta e spontanea e massiccia, nonché con l’attivazione dello strumento referendario.
Per dirla in breve, una differenza deve essere sottolineata: c’era una vivida speranza di modificare l’andamento generale del Paese, partecipando, per così dire, ciascuno con le proprie forze, alla formazione dell’indirizzo politico generale, imponendolo alla politica e ai partiti. Cosa sia avvenuto lo possiamo riassumere in una immagine materiale: il sistema si sfarinò, i suoi protagonisti di allora persero di ruolo e, con l’azione collaterale dei tribunali penali, il Paese si incamminò verso il cambiamento.
Non a caso, si è parlato di passaggio da una prima ad una seconda Repubblica. Ma, lasciamo all’informazione di baloccarsi con le formule.
Sembrò che l’irruzione di nuovo personale politico, apparente per quello che dirò subito dopo, la creazione di nuovi partiti, la spinta verso l’ammodernamento istituzionale fondato su riforme elettorali generali e locali, con il tempo necessario, questo sì ben modulato in dottrina in base alle analisi storiche dei grandi cambiamenti, fossero i primi passi per la realizzazione di inesauste domande di giustizia, di equità sociale, di nuovo sviluppo, di ricostruzione dello scenario economico-politico.
Sembrò che avesse avuto successo una battaglia civile e civica fondata su un imperativo categorico: sostituiamoli!
Non è andata a buon fine quell’azione corale e democratica. I partiti hanno ripreso a spadroneggiare, la corruzione è proseguita secondo schemi consolidati e semmai affinati, le istituzioni sono state rimesse in discussione nei loro ruoli portanti, con l’aggiunta di un attacco costante alla Costituzione, sferrato con violenza sguaiata e inaudita dai portatori di interessi più o meno occulti, ingolositi dalla cedevolezza delle strutture formali dello Stato, queste ultime aggredite e infine indebolite, con azioni di evidente e astuta.
Qui, non intendo approfondire la prospettiva d’analisi di Dahl a proposito del governo dei custodi, ma fare una proposta e aprire un dibattito sulla questione della riduzione progressiva, e quindi dell’annullamento, del divario che separa le elite politiche dal popolo.
Non possiamo accontentarci di correggere il sistema partecipando alla discussione politica. Infatti, si tratta di una partecipazione apparente, teleguidata e ininfluente sia rispetto alle decisioni sia rispetto alla gestione concreta dello Stato e della vita quotidiana. Non possiamo accontentarci di avere una provvista di informazioni da parte delle elite politiche perché, per lo più, non sono garantite circa la veridicità e non soggiacciono ad un obbligo di “ disclosure”. Ci dicono ciò che vogliono. E non basta.
Occorre incidere sulla sostituzione delle elite politiche. Si deve passare dal “sostituiamoli“ al “ sostituiamoci”.
È chiaro che non può trattarsi di una sostituzione nelle istituzioni che si formano secondo la legge. Ed è chiaro che non si persegue un sovvertimento della legge. Ciò che si intende e si propone è una partecipazione sostitutiva dei cittadini nella gestione di tutti i contesti sociali nei quali ciò è possibile. Ho pensato, lo confesso, che fosse una riflessione originale e mi sono dovuto subito ricredere. In questi giorni, questa prospettiva del sostituiamoci è diventata realtà. Pochi esempi: a Milano, dopo le violenze distruttive dei black bloc, i cittadini colpiti nella qualità di cittadini o di operatori economici, anziché invocare l’intervento provvidenziale del Comune, si sono rimboccati le maniche, si sono sostituiti ai macchinosi e burocratici procedimenti pubblici, ed hanno affermato i loro diritti di cittadinanza rispetto alla pulizia delle strade, al ristabilimento del decoro, alla ricostruzione dei beni economici. In Inghilterra, si legge sui giornali, nelle scuole i professori si sono sostituiti allo Stato, evidentemente incapace di distribuire le proprie risorse,e hanno provveduto i loro giovani, bisognosi allievi di uniformi, di sapone e di cibo.
A Catanzaro, molti anni fa, (a dire che si tratta di un fenomeno vivente ma sporadico e disorganizzato) la Commissione sanità della Camera dei Deputati, nel corso di una indagine conoscitiva, venne a conoscenza del fatto che i medici pagavano il cibo e i materiali di igiene personale degli ammalati. E così via nei 1000 e 1000 quotidiani interventi del volontariato.
C’è un terreno in cui l’affiancamento civico, cioè la sostituzione dei cittadini alle burocrazie o semplicemente la correzione delle attese per l’intervento pubblico, è configurabile come fattore di realizzazione di processi solidali, sussidiari e di cittadinanza.
Il che non significa lasciare alle elite politiche il compito di fare in splendido isolamento le leggi e abbandonare la prospettiva di una riforma della democrazia; al contrario, significa affermare una partecipazione concreta, valutata e valutabile dai cittadini. Significa avviare una riorganizzazione della politica che con gli ordinari strumenti della partecipazione attraverso i partiti e il voto non è soddisfacente.
Nel contempo, significa, a mio avviso, rinnovare completamente la strumentazione legale cui la politica attinge. A puro titolo esemplificativo, non si tratta di offrire ai cittadini nuove associazioni che prendano il posto di quelle usurate. Si tratta di assumere la responsabilità micro politica di attivare processi di sostituzione per migliorare la vita e la convivenza. Non è da questa partecipazione che deve scaturire il partito, un partito; ma da questa partecipazione scaturirà una nuova consapevolezza politica, perfino nuova classe dirigente.
È chiaro che c’è un “ caveat”: occorre evitare che i partiti, tuttora organizzati, tentino, come sovente fanno nei confronti della società civile e delle sue migliori espressioni, azioni di impossessamento delle persone e dei risultati. La consapevolezza politica nuova deve essere così robusta da respingere le tentazioni e i tentativi di derubricarla a mezzo di realizzazione personale.
Sostituiamoci senza chiedere permessi e autorizzazioni, che non siano quelli di legge. Così è possibile darci la speranza di realizzare un nuovo ordine civile, con l’applicazione di un “metodo di libertà”, sciogliendo l’antinomia tra istituzioni politiche e istituzioni spontanee in una sintesi sturziana per cui “ ad uno Stato accentratore (e al suo servente apparato partitico) tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale, sostituire uno Stato veramente popolare che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private”.
È legittima, a questo punto, una domanda. Come si attivano i processi di sostituzione? Possiamo confidare su una larga e spontanea modalità di avviamento? Personalmente, la risposta mi è chiara: dobbiamo, debbono, tutti coloro che hanno a cuore la salute della Repubblica, assumere l’iniziativa di attivare i processi di sostituzione, come hanno fatto i cittadini milanesi, i medici di Catanzaro, gli insegnanti inglesi. Debbono essere attivati dei segretariati civici che, in condizioni di totale trasparenza, cioè di libero controllo dal basso, coordinino le singole iniziative. Con una raccomandazione, che non debbono essere trascurati ambiti per così dire minori, la pulizia delle strade per esempio che i gruppi di cittadini possono svolgere in luogo delle pessime municipalizzate e a difesa della propria salute, né debbono spaventare ambiti maggiori, per esempio l’insegnamento sussidiario di giovani che incappino in cattivi insegnanti.
Per sostituirsi a ciò che urta la nostra sensibilità basta la nostra modesta volontà, la volontà di entrare nelle fitta foresta delle cose che non funzionano e disboscarla, non già chiedendo interventi pubblici che non verranno ma in autotutela, cioè a tutela del proprio benessere, di quello delle persone care e di coloro che non si conoscono, per spirito di gratuità e per il fatto che, auspicabilmente, prenderanno a loro volta iniziative nel nostro interesse.
Alessandro Diotallevi