Se non ci fosse stata la pandemia da Covid-19, cosa avrei potuto scrivere oggi sull’andamento dell’economia italiana che da tempo varia tra stagnazione, recessione e lievissima ripresa? In questa situazione cosa avrebbe potuto fare il Governo italiano in sede di politica economica e in coordinamento con le politiche economiche degli Stati europei, dirette, controllate e sussidiate dalla Commissione europea e dalla politica monetaria, equilibratrice del credito e del risparmio, della BCE?

Avrei scritto che sullo sviluppo dell’economia italiana ed europea molto ha influito la gestione non positiva dell’EURO, diventata moneta unica in una Europa non ancora politicamente unita in uno Stato federale, ma ancora formata da Stati sovrani con una propria politica economica anche se coordinata dalla normativa UE. Al contrario una Europa sotto forma di Stato federale avrebbe permesso di avere un’unica politica economica ed un’unica politica monetaria gestita da una unica Banca Centrale, e cioè una BCE Europea forte e unica coordinatrice della politica monetaria e dell’esercizio del credito.

  1. E. Stiglitz nel suo libro “L’EURO” così scrive riguardo la moneta unica europea: “La sfida più impegnativa per dare più peso all’Europa è quella di consolidare una visione comune…”, e ancora “… se vi fosse stata unanimità tra i paesi d’Europa, di sicuro il loro parere concorde avrebbe avuto un peso maggiore. Ma l’origine del problema non è la mancanza di integrazione politica, bensì la mancanza di consenso.” Se ci fosse stato l’accordo necessario, le istituzioni di cui l’Europa già dispone le avrebbero permesso un’azione coordinata e di parlare una <voce> sola.” (Pag. 39 del libro diJ.E. Stiglitz – L’EURO).

In mancanza della pandemia in atto avrei scritto, che l’UE dovrebbe:

  1. Adottare una politica economica unitaria ed armonizzata con quella dei singoli Stati appartenenti all’area dell’Eurozona;
  2. Riformare il sistema bancario con il ritorno alla specializzazione delle banche (con credito a breve, medio e lungo termine) e relativa scorporazione di altre funzioni non attinenti all’esercizio del credito, del tipo “merchant Banking ecc…, in modo che le banche potrebbero finanziare gli investimenti delle imprese a seconda che siano investimenti a breve termine, a medio e/o a lungo termine (ad esempio le banche di natura commerciale rivolgerebbero la loro attività solo a breve termine e/o al credito mercantile, mentre le banche di credito a medio e a lungo termine rivolgerebbero la loro funzione creditizia ad investimenti di beni durevoli, ad utilità pluriennale e a fecondità ripetuta. Il tutto diretto dalla BCE con ruolo centrale e decisorio, in armonizzazione con le banche centrali dell’Eurozona;
  3. Ritorno agli investimenti massicci in infrastrutture ed opere pubbliche tali da creare un effetto espansivo di crescita e di occupazione (rivisitazione del Keynes);
  4. Riforma fiscale e contestuale riduzione dell’evasione fiscale tale da creare, con l’incremento delle entrate fiscali, l’effetti return necessario alla copertura della maggiore spesa pubblica;
  5. Abbandono della politica di austerity e svalutazione interna; ecc…

Si avrebbe così un doppio effetto:

  1. Annullamento e sterilizzazione della maggiore spesa pubblica;
  2. Redistribuzione della ricchezza con miglioramento salariale delle fasce più deboli e ciò anche attraverso, se necessario, una imposta che andrebbe a colpire le rendite di posizione avvantaggiate e create nel periodo della crisi economica. Si tratterebbe quindi di effettuare una operazione di perequazione e di redistribuzione della ricchezza accumulata con operazione varie (vedi finanza agevolata ecc…).

Quanto appena detto servirebbe ad evitare la rottura dell’euro (Minenna – La moneta incompiuta) con danni conseguenti per i paesi periferici (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda), e al contrario  vantaggi per la Germania con un valore del vecchio marco sicuramente più alto di quello dell’euro.

Ciò premesso in situazione di costanza Covid-19 cosa va fatto per tamponare le esigenze a livello economico e sociale al fine di ridurre gli effetti e le conseguenze negative della pandemia in atto e cosa andrebbe fatto per il dopo l’emergenza da Coronavirus?

In costanza di pandemia la liquidità messa potenzialmente sul mercato è formata dai seguenti strumenti finanziari:

  • il Q E (Quantitative Easing) per 1350 (750 + 600) miliardi di euro e consistente in acquisti di titoli del debito pubblico contrassegnati dalla sigla PSPP (Public Sector Purchase Program;
  • Il Recovery fund (Next Generation UE) per 750 miliardi (500 a fondo perduto + 250 a prestito). All’Italia andrebbero 172 mld circa di cui 81,8 a fondo perduto e 90.9 miliardi a titolo di prestito. Tale strumento finanziario è ancora allo stato di proposta e dovrebbe trovare la sua approvazione definitiva da parte del Consiglio Europeo dei ventisette il 18 luglio p v.;
  • Il SURE che è “fondo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in una emergenza” per 100 miliardi di euro;
  • Interventi della BEI (Banca europea per gli investimenti) per 200 miliardi
  • MES (meccanismo europeo di stabilità) o ESM che fa parte degli interventi ordinari che prevedono “Fondi sovranazionali di assistenza finanziaria” per 240 miliardi.

Tali strumenti servono a dare liquidità al sistema economico dei Paesi dell’Eurogruppo al fine di ridurre la fase di recessione con disoccupazione crescente e bassa produttività. Liquidità che per avere un effetto positivo va utilizzata in tempi brevi e con la massima urgenza.

Tuttavia tale liquidità, disponibile in tempi brevi per quanto riguarda lo strumento del MES (36 – 37 miliardi disponibili dal 1° luglio pv) e il Q E della BCE, non lo è altrettanto per gli altri strumenti finanziari e specialmente per il Next Generation UE ancora in fase di discussione a causa dell’opposizione dei cosiddetti paesi frugali (Olanda, Austria, Svezia e Danimarca).

Il Recovery Fund che ha il pregio di raccogliere fondi con l’emissione di titoli o bond “con garanzia indiretta degli Stati membri” delll’Eurogruppo, trova il suo limite nella lentezza dell’erogazione degli stessi fondi (ciò per mancanza di accordo tra gli Stati dell’Eurogruppo) in un momento in cui la liquidità serve con urgenza per sostenere l’economia, mantenendo l’apparato produttivo e i consumi a livelli accettabili ed evitare così il peggioramento della recessione già in atto.

Allo stato attuale sul Recovery Fund “non vi è consenso sull’ammontare del fondo per la ripresa, le proporzioni (250 miliardi di prestiti e 500 miliardi di sussidi), i criteri di allocazione, l’iter di approvazione nella concessione del denaro. Sul bilancio i dubbi riguardano il volume e in parte le priorità.” (Beda Romano “Il Sole 24 Ore” del 19/06/2020)

Quali dovrebbero essere gli interventi in costanza e post  pandemia?

Per dar corso alla possibilità di attingere alle risorse del Recovery Fund, gli investimenti in una prima fase (in costanza di pandemia) andranno suddivisi tra “piani incentrati su transizione verde (green deal) e/o clima, digitale e sostegno ai lavoratori disoccupati più colpiti dalla crisi”. A questi investimenti di cui al Recovery Fund (R.F.), per aumentare la produttività anche in altri settori, dovranno essere affiancati, in una seconda fase (post pandemia), investimenti in infrastrutture attraverso l’impiego di capitale pubblico e di capitale privato. Perché questa seconda fase possa poi partire, bisognerà che la liquidità immessa nel sistema non vada dispersa in spese improduttive o di sola assistenza (anche se necessaria visti i danni da covid-19), ma venga rivolta alla creazione di maggiore produttività e di maggiori consumi. La liquidità dovrà pertanto trasformarsi in credito e in solvibilità (credito, investimenti in attività di impresa, in reddito positivo al netto della remunerazione dei fattori della produzione e con la conseguente solvibilità venga pagato il debito contratto con la concessione del credito).

In attesa che il R.F possa trovare piena applicazione, l’utilizzo del MES, sempre in momento di pandemia, sarebbe oltremodo positivo per il nostro Paese in quanto l’entrata di 36-37 miliardi, al tasso di interesse dello 0,1% e con rimborso a dieci anni, da investire in spese sanitarie dirette e indirette, libererebbe risorse da investire in attività produttive, sostegno alle classi indigenti, ai disoccupati e ridare slancio all’istruzione e alla ricerca (questi due ultimi settori trascurati e sotto finanziati da tempo).  Inoltre, nell’immediato, parte delle disponibilità finanziarie, sempre provenienti dall’utilizzo del MES (fondo salva Stati), andrebbe a finanziare nel 2020 le piccole e medie imprese ormai in deficit reddituale e patrimoniale.

La riforma fiscale: L’art. 53 dela Costituzione italiana così recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” Il criterio della progressività delle aliquote fiscali va mantenuto e andrebbero rimodulate al ribasso per le aliquote sui redditi minimi e medi: sui minimi bisognerebbe innalzare la no-tax area e sui medi abbassare le aliquote attuali. Sui redditi più elevati la progressività dovrebbe essere comunque contenuta e tale da non distogliere – anzi permettere – gli investimenti delle imprese le cui risorse dovrebbero provenire dalla maggiore redditività e dall’autofinanziamento.

Sul problema della liquidità la politica monetaria della BCE dovrebbe fare la sua parte, così come dichiarato e indicato dalla Presidente C. Lagarde.

I 1350 miliardi dovrebbero essere così impiegati:

  • Acquisti di titoli del debito pubblico contrassegnati con la sigla PSPP (Piblic Sector Purchase Program) e che si riferiscono al Q E del settore pubblico;
  • Asta di rifinanziamento Tltro-3 (targeted long term refinancing operations) che va letta come: “Operazioni di rifinanziamento a lungo termine mirate e/o vincolate alla concessione di credito alle imprese”.

Per quanto riguarda il problema proveniente dalla liquidità faccio queste brevi considerazioni:

Elemento fondamentale per evitare una stretta creditizia (credit crunch) dovuta alla mancata trasformazione in credito della liquidità è che le somme immesse nel sistema e utilizzate dalle imprese si trasformino in produttività e cioè in incremento della ricchezza reale e quindi in reddito reale e non in reddito da debito.

Nella concessione di liquidità bisogna non cadere nell’errore di permettere di fare finanza speculativa ma di utilizzare le somme per fare investimenti e incrementare la produttività con accrescimento di ricchezza reale. Il reddito da finanza prima o poi porta al default, mentre il reddito da lavoro produce flussi di ricchezza reale e conseguente sviluppo del sistema economico.

Antonio Mascolo

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