Nella sua XVII Meditazione delle “Devozioni” il poeta inglese di fede cattolica John Donne ha scritto “ Ogni uomo è un pezzo del Continente,  una parte del tutto….  ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io partecipo all’Umanità, e così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te.” Il poeta afferma come la morte di qualsiasi uomo lo sminuisca riducendone il suo stesso valore, perché si avverte partecipe alle tribolazioni dell’umanità, quindi non occorre sapere per chi suona la campana, essa non suona per lui. Riflettendo su  questo sermone scritto verso la fine del ‘500 “Nessun uomo è un’isola”, citato da Ernest Hemingway in epigrafe nell’opera “ Per chi suona la campana, è evidente quanto il palcoscenico dell’umanità attuale  sia distante e  diverso dall’Umanesimo di Donne e di Hemingway.

E’ vero, i tempi sono del passato, il mondo è cambiato, molte conquiste hanno migliorato le condizioni di vita, ma sulla strada del benessere l’uomo ha incrociato anche altre coordinate. Tuttavia la grande cultura del passato ha spesso consentito di costruire il presente quando le narrazioni sull’umano sono considerate per il loro significato come lezioni universali e valide per l’eternità.

Nel rileggere questi versi della poesia di John Donne balza in mente la riflessione sulla distanza tra visioni non solo di pensieri  ma  di prospettive socio-culturali di una vita comunitaria cristiana fondata sulla fratellanza e solidarietà verso chi soffre e volge al termine della vita. Assente grave nella vita dei nostri tempi è la considerazione dell’umano destino comune, conseguenza di prospettive limitate da finalismi individualistici, da interessi e visioni da super uomini e dallo stato di distrazione o confusione di chi crede o è senza fede.

Stridono in questa prospettiva attuale, e sono evidenti, i paradossi di un sistema sociale della modernità soffocato dagli egoismi e dalle aggressioni sui più deboli, dal potere cieco e distruttivo di un popolo sull’altro, dal danno altrettanto cieco ricaduto in molte realtà, che superano “un pezzo del continente”, e dove comunque e in situazione di rischi a subire un morire ingiusto, violento e innaturale sono soprattutto gli innocenti, spesso vittime in quanto più vulnerabili. Per loro, in tanti e per vari motivi, oggi suona quell’ultima campana e per molti altri interessa poco se cade nel vicino territorio o nel lontano Paese.

Ma a cosa serve vivere come tante isole a sé stanti dato che per come l’uomo nasce, per come ha bisogno di vivere e per come muore, ciascuno di noi, anche il più forte, ha bisogno del prossimo? Il tocco di questa campana è di origine naturale e appartiene a tutti, perché si avverte dentro di noi, è un tocco che nessuno riuscirà mai a cancellare, può solo rimuoverlo per scelta. I versi di Donne ancora oggi interrogano la nostra coscienza e responsabilità sulle sfide alla vita fragile, sul vuoto della tensione alla spiritualità e della visione di un umano che i nostri tempi hanno abbandonato.

Siamo forse diventati sordi al richiamo di questa campana che annuncia lutti per volontà inique, assenze e isolamenti, anche per indifferenza? La campana della condivisione della legge umana che con il risultato terreno dell’uguaglianza di un destino che la morte ci consegna alla fine di questa vita, forse non suona più per noi, neanche se i tocchi provengono dal territorio e si sentono? Il cuore del problema gira intorno alle questioni esistenziali ancora irrisolti perché abbiamo depredato l’umanità svalorizzando il senso della carità e della speranza nella trascendenza fondata il valore salvifico della pietas cristiana e civile di quel legame solidaristico della Carta costituzionale affermato come dovere del cittadino nel contribuire allo sviluppo della società.

Modificare questo processo di un Umanesimo involutivo o svuotato di significati si può, ma bisogna scoprire il senso vero della nostra vita, educare ai sentimenti umani, anche con opere concrete di solidarietà. Quel luogo privatistico dell’interiorità ha bisogno di essere alimentato e promosso da affetti e cura per speranze di futuro per il bene di tutti, in ambiti istituzionali laddove talvolta il primato dell’auto-referenzialità è divisivo e non fa ascoltare il battito umano.

La strada da percorrere ha bisogno del contrappeso del vincolo dell’umana fratellanza, della consapevolezza che non siamo isole viventi perché siamo una parte del tutto, non un’isola a parte perché l’umano che è in noi spinge nella direzione della partecipazione, anche in rete con le stesse Istituzioni per le persone che ci chiedono aiuto. Per le attuali sfide che sviluppano sacche di disumano necessita un sistema socio-culturale più ordinato e sostenuto dalla Comunità e in ascolto della campana che domani suonerà e ricorderà con i suoi tocchi la nostra dipartita, come per tutti i nostri fratelli che interpellano la nostra coscienza, anche per chi non coltiva speranze di continuità nel Cielo.

Inseguire la verità del nostro essere al mondo, per vivere meglio come unico corpo dell’Umanità, darà carica spirituale al vero volto umano presente in noi. La via della partecipazione al percorso della vita di chi ci chiama a lenire sofferenza e tribolazioni, la via dell’accompagnamento al morire con ogni conforto e sostegno, renderà giustizia innanzitutto a chi crede che la morte vissuta in solitudine e disperazione svilisca se stesso come uomo e quindi si mette in gioco per aiutarlo. Almeno nel nostro vicino contesto sociale potremo dire di aver avvertito quei tocchi di campana come chiamata di diritti umani assenti che riducono l’uomo e anche noi che subiamo il calo della veglia di orizzonti più equi ed umani. E come afferma il poeta Donne, la campana suoni anche per tutti noi.

Italia Buttiglione

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