Nella ben nota vicenda Tim- Telecom adesso il gioco si fa duro. Dopo l’offerta di acquisto del fondo americano KKR, secondo notizie di stampa non smentite, si sono incontrati i due attuali soci rilevanti della società: i francesi di Vivendi (che detiene il 23,7% del capitale) e Cassa Depositi e Prestiti (quindi lo Stato italiano, che a sua volta detiene il 9,8%).
La notizia è clamorosa in quanto i due attuali soci di maggior peso in Tim erano sino a ieri tra loro contrapposti: Cassa Depositi e Prestiti era intervenuta acquisendo azioni per arrestare quella che sembrava una scalata di Vivendi che, nel caso avesse raggiunto il 30% del capitale, sarebbe stata obbligata a proporre una offerta pubblica di acquisto: in pratica un’azione per acquisire l’intero capitale.
Il fatto che i due soci ora si parlino potrebbe indurre a definire un “concerto” che impone sempre la presentazione di altra offerta pubblica di acquisto quando insieme i due soci superano il trenta per cento del capitale. In questo caso l’iniziativa vedrebbe due pretendenti: il fondo americano da una parte e il “concerto” tra i due attuali soci rilevanti e la parola passerebbe al mercato.
L’attenzione si sposta ora sia sullo schieramento di banche a sostegno dei due eventuali pretendenti, sia sulle strategie da assumere prima ancora che sul prezzo offerto.
Lo schieramento di banche è impressionante: con il fondo KKR si sono già schierate Morgan Stanley e JP Morgan, ovvero la più grande banca d’affari del mondo. Con Vivendi e Cassa Depositi e Prestiti stanno trattando Lazard, Rothshild, Mediobanca e altre.
Di norma, l’iniziativa del fondo americano dovrebbe essere quella di acquisire la società, individuare al suo interno attività che incorporano maggior valore, venderle e realizzare profitti. Nel caso di Tim-Telecom si presentano in ogni caso almeno due ostacoli di non poco conto: il primo, è valutazione strategica del settore delle telecomunicazioni che non può certo trovare indifferente nessun governo; il secondo, è un rilevante carico di debiti della società oggetto del desiderio che si trascina dal tempo della sua privatizzazione, fatta in fretta e male (autori Prodi, Ciampi con la consacrazione di D’Alema).
La crisi di Tim infatti viene da lontano, da quando IRI mise sul mercato il 35% del capitale venduto per un importo che, espresso oggi in euro, corrispondeva a circa 13 miliardi. Già all’avanguardia della ricerca e dell’innovazione, l’impresa era a quell’epoca un modello nelle telecomunicazioni europee. Purtroppo, è stata utilizzata, come si dice in gergo,” a leva” cioè utilizzando il suo patrimonio per ottenere credito dalle banche e quindi indebitandola. E pensare che proprio D’Alema aveva definito i compratori (Agnelli, Benetton, Tronchetti Provera, Colaninno) “capitani coraggiosi” che alla fine hanno badato più a fare debiti e distribuire dividendi piuttosto che occuparsi di investimenti e creare valore. La riprova è nei numeri: al momento dell’acquisto la società era stata valutata circa 40 miliardi di euro e, prima delle iniziativa di KKR, la Borsa la valutava intorno ai 10 miliardi. Ecco il disastro quando la politica è assente e non tutela un asset strategico.
Il fondo KKR non ha ancora iniziato nemmeno la “due diligence” che è l’iniziativa preliminare di una trattativa per studiare i conti e capire come stanno le cose. Di conseguenza il progetto su che cosa fare non è ancora noto. L’altra eventuale iniziativa, quella di Vivendi e di Cassa Depositi e Prestiti, è solo oggetto di congetture ma già si parla di separare le reti dai servizi se non, addirittura, integrarla con Open Fiber, la società a maggioranza pubblica che detiene la fibra, fondamentale per le reti.
Certamente, si porrà anche il problema della “golden share”, cioè di una quota di capitale sociale che attribuisce allo Stato particolari poteri nelle regole di governo della società.
E’ certo che il governo questa volta non è assente ma ” segue il dossier con particolare attenzione” come ha detto alla Camera il ministro Giorgetti, mentre Draghi ha già definito prioritaria la protezione delle tecnologie e delle reti anche come elemento del Pnnr. Se il fondo americano KKR formalizzerà l’offerta pubblica di acquisto e dovesse concretizzarsi nel contempo un accordo tra Vivendi e Cassa Depositi e Prestiti, si assisterebbe a una contro offerta pubblica e a questo punto, salvo una eventuale azione di governo, sarà il mercato a decidere.
Guido Puccio