Il “ddl Valditara”, sia condiviso o meno, discutibile per certi versi, meno per altri, dovrebbe essere colto, per quanto non vada sostanzialmente oltre aspetti disciplinari, come l’occasione per aprire, nel nostro Paese, un vasto, importante, impegnativo dibattito pubblico sul tema della scuola. Su una scuola che sia, ad un tempo, severa e giusta.
Forse è un sogno sperarlo, eppure l’educazione delle nuove generazioni è oggi ancor più fondamentale di quanto, comunque, non lo sia sempre stata. Si tratta di mettere in campo, in un certo senso, ed attrezzare gli “esploratori” che nei prossimi decenni dovranno avanzare sui sentieri incolti di un mondo nuovo, che oggi appena intravediamo all’ orizzonte e stabilire “teste di ponte” in un tempo che ancora non sappiamo denominare, se non alludendo genericamente, al “post-moderno”.
È subito necessaria una premessa ed il fatto che la si condivida o meno già disegna la fisionomia del terreno su cui condurre il confronto tra forze politiche, sociali, culturali, civili che hanno, tutte, il diritto di essere ascoltate su un tale argomento. Il punto è, in altri termini, questo: alla scuola va attribuito e riconosciuto un compito eminentemente educativo che preceda e prevalga sul ruolo formativo e professionalizzante.
Detto questo, se c’è un tema sul quale sarebbe bene – a costo di una over-dose di reciproca tolleranza tra maggioranza ed opposizione – tentare un confronto pacato, è , appunto, quello della scuola.
Per almeno tre motivi. Anzitutto, le forze politiche che, anche sul “ddl Valditara”, stanno affilando le armi per riportare anche questo argomento dentro l’orizzonte della polarizzazione con cui si alimentano e reciprocamente si garantiscono, dovrebbero prendere atto che, in ordine al tema delicatissimo dell’educazione delle nuove generazioni, le loro rispettive posizioni in nessun modo esauriscono il ventaglio delle competenze, delle culture, delle correnti di pensiero che si cimentano attorno ad una questione di tale portata.
In secondo luogo, l’esplosione del digitale, la crescita esponenziale della rete, i social, il sovraccarico di informazioni, l’esuberanza della comunicazione, la contrazione dello spazio e del tempo in cui viviamo nel mondo globalizzato, l’accelerazione dei processi sociali, le trasformazioni ed i repentini cambiamenti di contesto che ne derivano, in generale la pervasività della tecnica in ogni campo della nostra vita mutano significativamente lo sviluppo dei percorsi cognitivi e la stessa struttura cerebrale che li supporta, esigono nuove modalità di apprendimento.
Infine, il tema educativo, per sua natura, pretende una visione di lungo termine e, pertanto, non può essere sequestrato da forze politiche, che chiaramente non hanno un tale respiro e malamente si arrabattano attorno ad argomenti contingenti e di corto raggio.
A meno che, dall’una e dall’altra parte, si pensi di colonizzare il mondo della scuola come palestra nella quale esibire – lo faccia la destra oppure la sinistra – i muscoli delle rispettive identità, in un gioco a somma zero di presunte egemonie che si rincorrono l’un l’altra, accomunate dal cadere ambedue in un tritacarne ideologico senza via d’uscita.
Siamo, per definizione, in un’età di “transizione” e non sarebbe fuori luogo affermare che, accanto a quelle di cui andiamo discutendo – digitale, energetica, ambientale – parlassimo anche di “transizione educativa”, anche per segnalare simbolicamente la rilevanza dell’argomento che andrebbe affrontato, come si diceva sopra, in un ampio dibattito pubblico, cui invitare tutte le voci che arricchiscono il pluralismo del nostro Paese.
Anche queste pagine, ci auguriamo possano ospitare molti interventi e contributi, diretti a sviscerare un tema fortemente radicato nella vita di tutte le famiglie italiane.
Domenico Galbiati