E’ opportuno tornare su un concetto che su queste pagine è comparso, in più occasioni, fin da mesi or sono ed oggi assume una piu puntuale valenza dopo la seduta di ieri l’altro del nuovo Parlamento Europeo, che ha visto la devastante “performance” di Giorgia Meloni.

L’ alternativa politica al governo della destra è, a questo punto ed a maggior ragione, oggettivamente necessaria ed urgente.

Va preparata fin d’ora, per quanto la scadenza naturale della legislatura sia datata al 2027. Considerando, peraltro, che, probabilmente, dovremo affrontare, nel frattempo, la battaglia referendaria del “premierato”, sempre che il governo ci voglia insistere.

A questo punto, sostanzialmente marginali in Europa, la questione politica diventa più stringente sul piano nazionale e fa giustizia dei molti distinguo che attraversano l’area delle opposizioni e, soprattutto, rende fin troppo leziose le sottili interpretazioni che si vanno rincorrendo in ordine al cosiddetto “centro” ed ai relativi ed ondivaghi personaggi ed interpreti.

Peraltro, se pur andrebbe riconosciuta una cornice generale, dentro la quale dipingere il quadro della possibile alternativa, ciò non significa che, di per sé, si abbia a portata di mano una visione ed un progetto politico potenzialmente vincenti. Senonche’, sarebbe impossibile disincagliare gli italiani dalla rassegnata astensione dal voto e ricondurli verso una rinnovata passione civile e politica senza un disegno che sappia ridare senso e speranza alla loro partecipazione.

Per questo, è necessario – pur costretti nella logica bipolare che, imposta dalla legge elettorale vigente, rende sempre più opaca la dialettica politica – creare i primi presupposti di una “coalizione liberal-democratica e popolare” che sappia individuare i capisaldi di un programma politico che risponda, senza velleitarismi, alle domande che i cittadini traggono dalle esperienze concrete del loro vissuto quotidiano.

Dopo anni ed anni spesi per una affannosa rincorsa ai diritti civili, che ha condotto ad una sostanziale mutazione genetica della stessa sinistra, oscurandone pericolosamente l’originaria vocazione popolare, è, anzitutto, a quest’ ultima che si deve tornare.

Il che vuol dire, ripartire dal basso, dai “diritti sociali”, da una rigorosa ricognizione delle politiche indispensabili per una vita ed una crescita serena delle famiglie degli italiani.

Il lavoro, la casa, la salute ed il welfare, soprattutto la scuola, la cultura e l’educazione, la sostenibilità ambientale, la vivibilità e la sicurezza dei contesti urbani.

Questi gli essenziali snodi programmatici attorno ai quali costruire un’ altra Italia, di nuovo solidale e coesa. Attorno ad istanze comuni, “popolari”, non dedotte da astratti presupposti ideologici, ma perseguite induttivamente, stando, con i piedi per terra e lucidamente, dentro una complessità degli eventi.

Una condizione sicuramente ardua che, pure, può essere governata se alcuni fondamentali riferimenti comuni – che si sostanziano nella centralità della persona, nello schietto riconoscimento del suo valore umano, nel pieno rispetto della sua dignità – sono assunti, pur muovendo da differenti orientamenti ideali, come baricentro di un’azione comune.­

Domenico Galbiati

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