Abbiamo incontrato Philip Wade per scambiare due chiacchiere in merito al negoziato sul “fondo salva-Stati” che sta affrontando il governo italiano. Ossia: per fare chiarezza e leggere gli eventi al di là della farsa populista che sta montando attorno.
Philip Wade ha sessant’anni, è titolare di una cattedra di Storia contemporanea al “Birkbeck” College di Londra – il celebre istituto di ricerca di Eric Hobsbawm –, e ha vissuto molte vite: figlio della working class di Liverpool, studente di letteratura a Oxford, allievo dell’economista Federico Caffè a Roma. Oggi, però, è incline solo alla malinconia. Fantasma di un tempo che non c’è più, quando si sognava un mondo di uguaglianza e redistribuzione.
Sogni, sgretolatisi a contatto con l’amara realtà di un sistema al collasso e una classe politica complice del disastro. Lo abbiamo incontrato per scambiare due chiacchiere in merito al negoziato sul “fondo salva-Stati” che sta affrontando il governo italiano.
Professor Wade, lei ha numerosi trascorsi nel nostro Paese e tradisce anche un affetto profondo. Che succede ora in Italia rispetto al Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità), volgarmente detto “fondo salva-Stati”?
Nutro molto affetto, sì. E malinconia. Comunque… la questione è più semplice di quanto non si creda: stiamo assistendo all’ultima declinazione utile della “ragione” sovranista. Visto che le argomentazioni no-euro, aprioristiche e del tutto infondate, hanno ormai perso la loro spinta inerziale, adesso i sovranisti si scagliano contro i meccanismi che proteggono la valuta comune e il debito degli Stati. Siamo scesi di un ulteriore livello nell’abisso della follia.
Gli assertori del primato nazionale hanno rinunciato alla preda grossa, ma insistono con provocazioni sempre più assurde rispetto a situazioni complesse di cui nemmeno comprendono la portata.
Ma perché il tutto divampa proprio, e al solito, in Italia?
Perché ci sono le condizioni materiali: il governo è debole, non riesce a comunicare in maniera adeguata e soffre ancora l’ondata di odio e paura di matrice sovranista che scorre impetuosa all’interno del governo stesso e tutt’intorno, nel Paese reale. La riforma del Mes è frutto di trattative che vanno avanti da quasi dieci anni, ed è la risultante di una dialettica tra Paesi altamente indebitati e Paesi più virtuosi. Non è una novità dell’ultimo mese, stiamo parlando di meccanismi studiati per poter arrivare alla tanto agognata unione fiscale e bancaria.
Ok, d’accordo. Ma questa riforma è negativa o no per l’Italia?
È totalmente indifferente: il sistema reggerà solo se sostenuto dalla volontà politica di proseguire in questa direzione. Se ci si astrae dall’agone politico attuale, risulta evidente che l’Europa è un progetto in evoluzione: mira a rendere neutrale ogni linea politica delle singole nazioni in favore della ragione continentale. L’Europa sarà veramente
compiuta nel momento in cui le politiche nazionali cesseranno di influire sulla sua tenuta d’insieme, e si limiteranno ad accompagnare il suo orientamento generale. Le correnti sovraniste, al contrario, spingono per declinarsi in ogni
Stato in maniera differente. Ad esempio i sovranisti dei Paesi fiscalmente forti osteggiano gli aiuti ai Paesi meno più in difficoltà e si scagliano contro la politica monetaria espansiva a tassi sottozero. Di contro i sovranisti dei Paesi meno virtuosi vorrebbero utilizzare la leva fiscale liberamente, senza vincoli imposti e accogliendo a braccia aperte
i tassi sottozero. Questo gioco delle parti è la “realtà aumentata” di ciò che avviene nelle reali trattative dei Paesi dell’Unione: i sovranismi amplificano la dialettica e la trasformano in una pantomima tragicomica in cui vengono mostrati solo gli effetti più nefasti della Storia, e mai quelli “progressivi”. Il populismo europeo è questo: cercare di trovare le colpe in una fantomatica entità esterna e invisibile, senza mai cercare di individuare le vere ragioni del problema. Alla fine l’estenuante diatriba interna all’Europa, riflesso di quella interna ai singoli Paesi e viceversa, altro non è che una battaglia tra fazioni di capitale che si contendono il potere. Sovranisti ed europeisti dimenticano – od occultano scientemente – le reali dinamiche che ostacolano la crescita dei singoli Stati e ne esasperano le
diseguaglianze. Il vero vulnus europeo è questo, ed è un tallone d’Achille comune a tutti i membri dell’Unione. Una dialettica sterile e tendenziosa che porta all’immobilismo, a essere esclusi dalle sfide più determinanti, quali la
corsa all’egemonia tecnologica che si stanno contendendo le governance ben più spregiudicate e lungimiranti di Cina e Stati Uniti. Intanto l’Uk è impantanato nella Brexit da ormai quattro anni, le tragedie umanitarie continuano a dilagare nel Mediterraneo e l’emergenza climatica dilaga senza argini di nessun tipo.
Un quadro davvero entusiasmante … Dunque possiamo evincerne che la polemica italiana sul Mes non avrà nessun reale impatto?
Esatto. È solo la “variante italiana” di un gioco ben più grande. Le beghe nazionali hanno perso qualsiasi importanza, e Paesi come l’Italia sono del tutto integrati alle filiere produttive del global North. I mutamenti politici, oggigiorno, per essere epocali devono avere una valenza internazionale, oppure non lo sono. Il sovranismo, per quanto inquietante, è stato e sarà un fuoco di paglia. La realtà è che neo-liberismo e revival sovranisti, pur fingendo di
fronteggiarsi, alla fine si rivelano essere facce della stessa medaglia, e si alimentano a vicenda in una panorama societario ancorato alle dinamiche capitalistiche di sfruttamento e disuguaglianza.
Tutto chiaro, professor Wade. Ci conceda un’ultima domanda, senza spazientirsi: se dovessimo
considerare questa riforma solo nel suo merito, può esserci in essa qualche elemento di cambiamento concreto?
Allora, considerando i tempi di reazione della politica, che sono sempre “biblici”, questa riforma in teoria si propone come strumento per accorciarli drasticamente. In pochi minuti il “fondo salva-Stati” potrebbe intervenire, e questo sarebbe già molto rispetto alle lungaggini passate. Poi c’è la questione di vincolare tutti i creditori a “cedere” alle stesse condizioni. Un banalissimo esempio: nella ristrutturazione in Argentina alcuni fondi più sofisticati, che non accettarono le condizioni proposte, arrivarono a pignorare persino una nave da guerra, pur di spuntare prezzi migliori. Il Mes in questo senso sarebbe uno strumento a salvaguardia di tutti i creditori. Sia i più deboli e meno
organizzati, sia i più forti e combattivi. Quindi, al di là del contesto di farsa in cui si pone, in generale potrebbe
essere una forma di efficiente argine alla furia anarcoide e devastante dei mercati. Ma il problema, ribadisco, è di carattere generale. E purtroppo, a quanto pare, irreversibile.
Pubblicato su www.idiavoli.it