In Eurozona i rapporti più elevati Debito pubblico/Pil a luglio 2023 erano i seguenti: Grecia 168,3%; Italia 143,5% (dal 144,4% del iv trimestre 2022); Portogallo 113,8%; Spagna 112,8%; Francia 112,4%; Belgio 107,4%.
In Italia per il rapporto Debito publico/Pil, stimato a 142,9% nel 2023, è previsto l’aumento di un altro 0,4% e raggiungere così’ il 143,4% nel 2024.
La Commissione europea ha stimato la previsione di crescita del Pil in Italia nel 2024 dello 0,7% rispetto allo 0,9% stimato e del 1,2% nel 2025.
Debito pubblico
Alla fine di ottobre 2023 il livello del Debito pubblico italiano era di 2.868 miliardi di euro e a fine novembre di 2.855 miliardi con una discesa di13 miliardi. Nel 2022 il debito era di 2.766 miliardi di euro con un differenziale in aumento del 2023 di 102 miliardi di euro. A dicembre 2023, secondo i dati della Banca d’Italia, il Debito pubblico era salito a circa 2863 miliardi. Ultimo aggiornamento con dati riferiti il 15 febbraio 2024, il D.P. veniva stimato a gennaio 2024 in 2856 miliardi e quindi in lieve diminuzione in relazione alla stima di dicembre 2023
Una stima OCPI (Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani), in proiezione a giugno di quest’anno, porta il Debito pubblico in sensibile crescita perché oscillante tra 2879/2889 miliardi di euro e sempre a fine 2024 il rapporto Debito pubblico/Pil viene stimato essere a 143,4% (a fine 2023 la stima era di 142,9).
Crescita del Pil
Porto a conoscenza le previsioni del “S&P” (Standard & Poor’s) e “OCPI” che non coincidono perfettamente tra di loro, come si presenta leggermente diversa anche la previsione della Commissione Europea. Tuttavia le differenze tra le loro valutazioni sono minime e quasi ininfluenti e si possono pertanto considerare valide le relative conclusioni. Ecco quelle di “S&P” e “OCPI”.
Gli analisti di S&P Global Ratings nelle loro stime del Pil dell’Italia convalidano le previsioni per il 2024 mentre tali previsioni sono in diminuzione per il 2025. La crescita, sempre per l’Italia, è prevista dello 0.6% nel 2024 e dell0 0,7% nel 2025, mentre per il biennio 2025 e 2026 ci sarà un incremento del 1.1%. L’inflazione dovrebbe assestarsi per il 2024-2027 intorno all’1,9% e il tasso di disoccupazione scendere dal 7,6% al 7,5% per l’anno 2025. (I dati sono stati assunti dall’articolo di Mariangela Tessa del26/03/2024 su WSI).
Le previsioni di crescita del PIL, come da stima del OCPI nel 2024 risulta essere la seguente:
- Stima PIL I trimestre 2024: + 0.1%;
- Stima PIL II trimestre 2024: + 0.2%;
- Stima PIL III trimestre 2024: + 0.3%;
- Stima PIL IV trimestre 2024: – 0.1%.
Con questa situazione che presenta una crescita inferiore all’1%, ed inoltre un rapporto D.P./PIL oscillante tra 142,9% e 143,4 e un debito pubblico previsto a giugno 2024, tra 2.879 e 2.889 miliardi di euro (+ 23 o +33 miliardi da fine 2023 e cioè per un periodo di 6 mesi), il quadro economico non si annuncia certamente bene, ma anzi in difficoltà, perché l’incremento totale del Pil non solo non riduce il valore del Debito pubblico, ma anzi tale Debito tende ad aumentare come previsto dalla stima di giugno 2024 secondo i dati riferiti dall’OCPI (L’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani).
A questo punto si pone il problema della crescita e di come questa dovrebbe presentarsi e quali dovrebbero essere i provvedimenti conseguenti per accelerarla.
- Un primo provvedimento è quello di eliminare i deficit di bilancio e presentare per il futuro un bilancio con saldi primari positivi (il saldo primario è dato dalla differenza tra le entrate correnti e le spese correnti del bilancio dello Stato, al netto degli interessi passivi). Tale situazione nel tempo andrebbe sicuramente a ridurre sia il Debito pubblico sia la spesa relativa agli interessi sui titoli emessi dallo Stato e così creare anche la disponibilità finanziaria da investire in spesa produttiva e cioè effettuare, se l’obiettivo è crescere effettivamente e globalmente, solo interventi con alta ”produttività sociale” e pertanto effettuare, con le disponibilità create, investimenti pubblici, ricorrendo prevalentemente a contrarre il cosiddetto “debito buono”. Tale tipo di debito ha come obiettivo la realizzazione di investimenti pubblici in beni, servizi e infrastrutture, tali da ottenere con l’aumento della produttività un incremento netto della ricchezza reale e, con i maggiori redditi realizzati dalle imprese e dai privati, conseguire maggiori entrate fiscali, realizzando così quel “return” finanziario in termini di maggiori entrate, tale da coprire la maggiore spesa effettuata e con ciò annullare e rendere neutra, ai fini della consistenza del debito pubblico, la maggiore spesa effettuata. Tale situazione ha come conseguenza non solo di raggiungere e conseguire la copertura del debito, ma anche, con le maggiori entrate, di contribuire alla sua riduzione.
La conseguenza di ciò potrebbe portare alla effettuazione di maggiori investimenti privati e innescare così, attraverso quel circolo virtuoso di equilibrio tra spesa per investimenti pubblici e privati, la crescita economica senza dover effettuare, attraverso il taglio del debito pubblico, la riduzione della spesa sociale orientata al soddisfacimento dei servizi essenziali per la collettività, (quali: sanità pubblica, scuola e cultura, energia, strade, infrastrutture, ecc.).
- Un altro provvedimento di auspicata crescita (rivelatasi solo un auspicio), ma con un aumento considerevole del Debito pubblico (in gran parte improduttivo anche per la possibilità in prospettiva di crisi nel settore edilizio), è stato il costo del Superbonus del 110%.
Tale misura (a consuntivo o quasi) è risultata non proporzionale ai benefici ottenuti, non coerente e né collegata (ai sensi del principio generale della contabilità finanziaria di cui al D.Lgs 118/2011) alle possibilità di copertura delle spese. Tutto ciò senza che i vantaggi possibili, provenienti dalla transizione energetica, migliorassero la situazione economica del Paese, ed evitassero così il relativo ulteriore inevitabile indebitamento.
Gli elementi negativi del Ssuperbonus del 110%sono i seguenti:
- “Lo straordinario extra deficit di bilancio (39 miliardi di euro pari all’1,8% del Pil) che il super bonus ha causato nel corso dell’anno 2023, rispetto alle previsioni indicate a fine settembre nella NADEF” (OCPI del 21 marzo 2024);
- Gli abusi (con possibili relative frodi conseguenti) dovuti alla mancanza del “normale contrasto” o della normale trattativa tra venditore e compratore, cosa che ha lievitato costi per l’inesistenza della trattativa tra le parti, tesa a trovare il punto di incontro tra la ricerca della minimizzazione dei costi da parte del compratore e la massimizzazione dei ricavi da parte del venditore (così detto punto di incontro tra le ofelimità/utilità marginali ponderate);
- Effetto recessivo sul Pil dovuto alla abolizione del superbonus del 110% sul settore delle costruzioni, della “stessa dimensione (e segno ovviamente opposto) rispetto all’iniziale effetto espansivo”. “Rimangono ovviamente gli effetti negativi sul debito pubblico e quelli positivi, per quanto modesti, sull’efficienza energetica di quel 4% del patrimonio immobiliare italiano che è stato oggetto degli investimenti incentivati”. (OCPI del 21 marzo 2024 – Articolo a firma di Rosanna Arcamo, Alessio Capacci e Giampaolo Galli).
Quanto è stato di fatto il costo totale fino ad oggi del Superbonus? Una stima a partire dal 2020 configura un costo totale di 114,4 miliardi di euro, ma il costo effettivo potrebbe essere superiore a quanto appena detto.
La Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, in riferimento alle valutazioni sull’effettivo valore incentivante del Superbonus dell’economia del nostro Paese, ha evidenziato quanto segue
- La mancanza del contrasto di interessi tra compratore e venditore, sopra già chiarito, ha di fatto traslato i maggiori costi a carico dello Stato;
- Gli effetti positivi di crescita economica del Superbonus 110% sono stati prodotti solo per un breve periodo (anno 2020) e solo nel settore delle costruzioni. Tali effetti positivi consistenti nel return e/o rientro finanziario di risorse, attraverso maggiori entrate tributarie, non pareggiano (rendendo neutra la spesa) i costi a carico dello Stato, ed è stato stimato che su 100 euro di spesa solo il 20 euro rientrano sotto forma di maggiori entrate tributarie e contributi sociali. Per cui sui 114,4 miliardi di euro stimati che appresentano il costo dello Stato, al netto delle entrate appena indicate, il vero costo per lo Stato è stimato essere di 91,52 miliardi;
- Gli incentivi per le ristrutturazione hanno premiato i più ricchi e quelli con maggiori disponibilità finanziarie e non hanno avuto l’effetto di arrecare e o “apportare vantaggi di natura sociale con la redistribuzione delle risorse”.
Per le stime del Pil in Italia, le proiezioni dell’inflazione e quando ci sarà la riduzione (e di quanto!) dei tassi di interesse e della tempistica della stessa, di come si comporteranno le banche centrali e in particolare la FED e la BCE, del rischio di disinflazione e della gestione del Pnrr, per quanto riguarda tutto ciò appena scritto, il tutto sarà oggetto di un prossimo mio scritto al netto e depurato dal rischio dell’inquinamento di natura elettorale dei dati. (Segue)
Antonio Mascolo