Chi segue gli affari esteri nel nostro governo, la Presidente del Consiglio o il ministro Tajani? L’attivismo delle “missioni estere” della presidente Meloni è tale il ministro competente risulta un po’ in ombra.
Oltre alla fedeltà atlantica, al rispetto delle regole europee e agli aiuti all’Ucraina la strategia del governo italiano, nel mondo che brucia e brucerà ancora, sembra abbastanza modesta.
L’unica apertura, sino ad oggi, si è vista nei confronti dell’Africa. Seguendo le cronache, l’iniziativa dovrebbe essere rappresentata da una serie di progetti insieme definiti “piano Mattei”, del quale si parla ma che ancora non è decollato.
Dalla autorevole rivista “Affari Internazionali” lo scopo del piano è stato ben sintetizzato: 1) prevenire le origini delle migrazioni in corso verso le nostre coste; 2) garantire le risorse energetiche dopo l’abbandono del gas russo; 3) avviare una serie di partnership con i governi dei paesi africani da quelli della costa mediterranea sino al Sub-Sahara e all’Africa centrale. Il contenuto del piano è ancora tutto definire dopo il decreto che prevede la costituzione di un organismo dedicato.
Qualche considerazione però già si pone e una la ha avanzata “Limes” nel corso di un recente convegno a Genova: l’Italia ormai arriva tardi.
In Libia, in particolare, sono già arrivati i turchi e i russi dopo la nostra rinuncia di aiutare anche militarmente il governo ufficiale di Tripoli. Avremmo dovuto mandare il nostro esercito, ma il ministro di allora e il Parlamento avevano detto no. In Algeria, con un governo con buoni rapporti con Putin, la presenza dominante è ancora quella francese. In Tunisia sono sorti i problemi fastidiosi dopo il pasticcio del mancato intervento dei promessi fondi europei.
Nell’Africa Sub-sahariana e centrale c’è il problema della stabilità dei governi e siamo appena usciti da una stagione di golpe in alcuni paesi. Sarà bene tener conto che negli stati africani i colpi di Stato degli ultimi cinquant’anni sono stati oltre trecento. Il declino della presenza francese sembra irreversibile, ma non si può non considerare la presenza cinese e quella militare o paramilitare ancora dei russi. Quando il piano Mattei decollerà bisognerà tenerne conto perché chi già c’è, difficilmente mollerà la presa.
Secondo i nostri migliori esperti militari ed economici (e ne abbiamo) una seconda linea di iniziativa dovrebbe riguardare i Balcani. Sono a due passi da noi, alcuni non fanno parte dell’Unione europea, e l’accordo con l’Albania per portarci gli immigrati è più funzionale a nostre esigenze interne che a una politica di sviluppo. In tutto l’est europeo è la Germania che ha una presenza massiccia di interessi e detta i tempi dello sviluppo economico e sociale. Noi non ci siamo o quasi.
Eppure, Trieste sarebbe la porta naturale per l’Europa centrale. Il Mare Adriatico fa parte del disegno che vorrebbe collegare i tre mari: Baltico, Adriatico appunto, Mar Nero, secondo un progetto caro a Polonia, Ungheria, Romania, e ai Paesi della ex Jugoslavia. Non solo, ma in alcuni Paesi come il Kossovo, la Macedonia del Nord, la Serbia sono a rischio per turbolenze interne ispirate a aspirazioni nazionalistiche esasperate.
Il nostro interscambio commerciale è ancora modesto rispetto alle potenzialità, e le prospettive di investimenti italiani in capitale fisso sociale sono scarse. Basta frequentare Polonia e Romania per constatare la presenza delle imprese tedesche nella costruzione di strade, scuole, ferrovie.
In sostanza: è già importante avere mantenuto per ora le nostre storiche alleanze. Ma qualcosa di più nei prossimi tre anni di governo dovrebbe essere fatto perché se in Africa e nei Balcani non ci andiamo noi, ci vanno gli altri.
Guido Puccio