La Legge 194 è una delle conferme di come i provvedimenti legislativi in Italia vengono applicati spesso solo in parte o, persino, distorti. Non mancano mai le dichiarazioni stentoree che vorrebbero indicare nei testi che escono dalle nostre aule parlamentari vere e proprie autentiche rivoluzioni da lasciare ad esempio per il resto del mondo. In alcuni casi è così, ma poi la tendenza a lasciare tutto come lettera morta, l’incapacità ad andare oltre una certa sciatteria istituzionale e, soprattutto, ad intervenire quando si deve riconoscere quanto questa o quella legge non abbiano raggiunto il risultato sperato, ci fanno ritrovare con provvedimenti del tutto disattesi e con una soluzione parziale delle questioni che quei provvedimenti avevano sollecitato.
Conosciamo la Legge 194 come legge sull’aborto. Eppure il suo titolo è “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. E questo perché la sua prima parte non è stata applicata .
Con quel provvedimento lo Stato intendeva garantire “il diritto alla procreazione cosciente e responsabile” e riconoscere “il valore sociale” della maternità e tutelare la vita umana dal suo inizio. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze- è scritto nel suo primo articolo- “promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.
In realtà, non è stato fatto molto. C’è proprio da chiedersi quanto si stato realizzato a seguito di quanto indicato dall’art 2 della 194 che così recita:
c) attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a);
d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.
- un impegno formativo diretto ad educare, in modo particolare le giovani generazioni alla “procreazione cosciente e responsabile”, secondo la stessa indicazione dell’art. 1 della legge, che la pone quale “diritto”. Non si tratta, ovviamente, di interpretare riduttivamente tale compito, che la legge assegna, oltre che allo Stato, alle stesse Regioni ed agli Enti Locali, in termini di mera informazione in ordine alle modalità di contraccezione, bensì in quanto educazione al valore della sessualità ed alla genitorialità responsabile;
- una forte e convinta valorizzazione, eventualmente anche attraverso un’apposita iniziativa di carattere legislativo, del ruolo dei Consultori Familiari, di cui all’art. 2 della legge, anche in riferimento al secondo comma dello stesso articolo, che fa riferimento alla collaborazione di “associazioni del volontariato che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”, oltre che, anzitutto, come recita il primo comma dell’art. 5, “aiutare (la donna) a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”.
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