1.- A fine aprile 2021, nella Scheda n. 6 del Dipartimento Europa ed Eurozona. Politiche economiche e programmi straordinari del partito INSIEME (CLICCA QUI), si poteva leggere la seguente critica riguardante il metodo seguito in tutto il processo di costruzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano; questione di metodo assai rilevante nella prospettiva di INSIEME, fondata sul principio della relazionalità, della condivisione degli obiettivi e dei contenuti progettuali e non sull’interesse di schieramenti precostituiti: «I programmi di azione quali il PNRR devono derivare da processi di aggregazione delle istanze provenienti dai diversi saperi: quelli dei centri di competenze dello Stato e degli enti pubblici territoriali, fra di loro, e con i saperi espressi dalla società organizzata. […] L’approccio corretto non deve essere il tipo dirigistico statale, come si è fatto finora (e sembra voler continuare anche nell’ultimo stadio che ci porterà alla scadenza del 30 aprile). E non si esce dal dirigismo concedendo audizioni temporanee più o meno pletoriche a partiti politici, organizzazioni rappresentative del mondo produttivo (datori di lavoro e lavoratori), del Terzo settore, del mondo culturale. Si entra nella relazionalità lavorando insieme, confrontando i propri valori, dalla declinazione dei quali emergono gli obiettivi finali particolari e, con le opportune mediazioni, quelli condivisi dalla comunità dei soggetti.
«E poi non è accettabile che il PNNR redatto dal Governo Draghi sia stato proposto ai due rami del Parlamento oggi per il domani. È un piano di grosse dimensioni quantitative e qualitative che influirà sulla vita economica e sociale del Paese, per lo meno, per i prossimi sette anni ed è stato richiesto al Parlamento di approvarlo dopo un dibattito della durata di meno di una giornata. Non è dignitoso per il Parlamento!
«Si è detto che mancava il tempo per far delibare e deliberare in più della mezza giornata disponibile per ognuna delle camere, poiché gli Stati dovevano fare pervenire il PNNR entro il 30 aprile. Non era vero: l’art. 18, 3° comma, del Regolamento UE del 12.02.2021, che istituisce il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RRF nella terminologia comunitaria), dice che “il progetto di piano per la ripresa e resilienza [deve essere] trasmesso ufficialmente, di norma, entro il 30 aprile”. Il nostro Capo del Governo poteva usare il forte ascendente che pare abbia sulla Commissione Europea, invece che per ottenere preventivamente, sulla parola, l’approvazione del PNNR – come è stato detto, con una certa euforia, da stampa e telegiornali – per chiedere una dilazione per la presentazione dello stesso, giustificata dal fatto che il Governo era in carica da soli due mesi e mezzo: una dilazione affinché il Governo potesse operare più compiutamente e il Parlamento potesse vedere rispettata la propria dignità» (pp. 13-14).
Successivamente (v. Scheda n. 8 dello stesso sito) iniziò la scarsa trasparenza dell’azione dell’Esecutivo nel fornire informazioni e dati disponibili per permettere alla comunità il monitoraggio puntuale e costantemente aggiornato sullo stato di avanzamento di progetti e bandi attraverso i quali si andava svolgendo l’attuazione del Piano, in modo da permettere il coinvolgimento di tutti coloro che avessero un lecito interesse a che il PNRR si realizzasse nella direzione del bene comune e delle sue componenti sociali e territoriali.
Ad onor del vero, si deve dire che la centralizzazione delle decisioni e delle scelte attuative dell’Esecutivo non è stata e non è una particolarità italiana: il coinvolgimento delle parti sociali e dei territori è stato modesto anche in tutti gli altri paesi dell’UE.
In séguito, il quadro delle informazioni e dei dati forniti dall’Esecutivo è andato migliorando e ha permesso di sviluppare meglio l’argomento sul fatto che il PNRR mostri di avere una visione del paese nel futuro. Il che è cosa ben diversa dal dibattito che si è andato sviluppando circa le prime vicende di vigenza del PNNR italiano; cioè se l’Italia ha rispettato e rispetti gli impegni presi nei confronti dell’UE e abbia ricevuto le relative risorse europee.
A questo proposito, la risposta è stata finora sostanzialmente positiva, anche perché si è trattato, in larga misura, del rispetto di impegni riguardanti i traguardi (riforme normative e amministrative) e non l’effettiva realizzazione di obiettivi (investimenti e spese correnti).
Il nuovo Governo Meloni è prestamente intervenuto sull’assetto di governance, al fine di esercitare un proprio diretto controllo sui processi, sostituendo con esperti di propria fiducia alcune figure tecniche apicali nominate dal Governo Draghi. Il nuovo Governo ha anche presentato una proposta di revisione del PNRR, nella parte riguardante i settori sociale e ambientale e interessante la quarta rata del PNRR (dopo che l’Italia ha già incassato le prime tre rate), proposta approvata, a settembre 2023, dal Consiglio dell’UE.
2.- Dopo questa premessa di carattere procedurale, vengo al punto centrale del giudizio sul fatto che il PNRR proposto dall’Italia all’UE e approvato da questa ai sensi del Programma Next Generation UE, facendo mio il seguente giudizio di sintesi espresso da Gianfranco Viesti (Riuscirà il PNRR a rilanciare l’Italia ?, Donzelli Editore, Roma, 2023):
«Il Piano [presenta] la mancanza di una visione del Paese nel futuro. […] Appare più un programma di modernizzazione che di trasformazione strutturale. Indica specifiche necessità d’intervento, in molti casi opportune, ma non spiega come e perché l’Italia, grazie a incisive trasformazioni, sarà in grado di raggiungere stabilmente una maggiore crescita economica, una maggiore inclusione sociale, una riduzione delle disuguaglianze. Sembra ispirato dalla fiducia che in un’Italia resa più semplice ed efficiente, fatte le riforme che ci mancano, le forze di mercato saranno le grandi protagoniste del cambiamento che serve. L’idea che questo sforzo riformatore produrrà automaticamente un rilancio dello sviluppo desta perplessità. Il PNRR non sembra affrontare a sufficienza alcuni grandi nodi economico-sociali dell’Italia: le disuguaglianze, specie di genere e generazionali, la povertà, la grande deriva demografica; non sembra offrire ai diciottenni, e soprattutto alle diciottenni del 2026, uno scenario particolarmente diverso da quello dei lavori precari, spesso sottopagati e con modesta copertura previdenziale, che prevalgono oggi. Così come non affronta i grandi nodi della collocazione dell’economia italiana, della sua industria e dei suoi servizi, nel quadro internazionale dell’oggi e del domani; di un modello di sviluppo molto più centrato su ricerca e innovazione. […] Il Piano manca di una visione di politica industriale: sembra partire dall’idea che basti potenziare la domanda per ottenere un sufficiente sviluppo dell’offerta interna. Allo stesso modo, al suo interno appare meno centrale il contrasto agli squilibri sociali; squilibri che in misura consistente sono stati fra i peggiori prodotti dalla crisi. […] Il Piano appare meno attento alle strategie per affrontare (in una prospettiva più o meno lunga) la povertà e l’esclusione sociale anche di nuovi soggetti un tempo meno a rischio. La riduzione delle disuguaglianze generazionali, pur essendo uno dei suoi grandi obiettivi trasversali, […] pare difficile da raggiungere senza incidere sulle norme vigenti sul mercato del lavoro, che hanno determinato livelli salariali estremamente modesti e un’esplosione di precarietà, d’incertezza sulle condizioni di vita; precarietà e incertezza che contribuiscono al calo della natalità e alla sensibile ripresa dell’emigrazione dei giovani italiani più qualificati» (pp. 17 – 18).
3.- A questo giudizio di sintesi, se ne possono aggiungere altri più specifici, come i seguenti, diversi dei quali evidenziati nello stesso volumetto di Viesti:
a) le linee guida della Commissione Europea invitavano gli stati membri ad allocare le risorse dei piani in misura particolare ai territori in maggiori difficoltà. Nonostante questo, nel PNNR italiano mancano sistematicamente i criteri che devono ispirare l’allocazione territoriale delle risorse in ciascuna misura. È ben vero che il Piano indica il Mezzogiorno quale priorità trasversale (al pari della Parità di genere e dei Giovani) destinando, nel complesso delle varie misure, non meno del 40% al Mezzogiorno, ma l’approccio dirigistico statale indicato in apertura del presente articolo porta a che i progetti “cadano dall’alto”, non siano definiti all’interno di un processo di concertazione con le politiche regionali e locali per rispondere alle diverse esigenze dei contesti regionali e locali. Gli obiettivi da raggiungere sono sempre declinati come medie regionali; non sono mai presenti indicatori relativi ai livelli di sviluppo delle diverse aree, alla gravità dei problemi occupazionali locali o di dotazione territoriale di infrastrutture. Le risorse sono distribuite fra i vari progetti seguendo principalmente la procedura di risposta a bandi nazionali o regionali;
b) un punto qualificante del PNNR italiano è il potenziamento delle infrastrutture, in particolare delle infrastrutture ferroviarie, ad alta velocità, ma anche altro, come il potenziamento dei nodi ferroviari metropolitani e il miglioramento delle ferrovie regionali a gestione RFI, inquadrato all’interno di un piano programmatico di più lungo periodo con scadenza 2036, che costituisce un’inversione di rotta rispetto alle modeste realizzazioni del decennio passato, con ricadute positive sullo sviluppo territoriale e sulla transizione verde;
c) il rilancio di un grande intervento nelle città italiane, importante motore della crescita economica anche perché, normalmente, nelle città nascono e crescono le attività di servizio maggiormente innovative e a maggiore contenuto tecnologico, insediate a monte e a valle delle attività industriali. Il PNRR non disegna una vera e propria politica urbana; piuttosto cerca di sviluppare diverse linee d’intervento che offrono possibilità d’integrazione fra di loro e, poi, gli importi delle risorse veicolate su quest’azione sono davvero rilevanti e variegati in interventi fisici (come per la mitigazione delle carenze abitative, la riqualificazione urbana e del verde urbano, il miglioramento dell’accessibilità e della sicurezza, la mobilità ciclistica) e in interventi di carattere sociale: investimenti finalizzati a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale e per migliorare i contesti sociali e ambientali, l’housing sociale temporaneo e di lunga durata, per l’edilizia scolastica e giudiziaria, per musei e biblioteche;
d) il PNRR italiano destina rilevanti risorse per il miglioramento del sistema nazionale dell’istruzione, nella forma soprattutto di investimenti in edilizia scolastica, compresi i nidi per i bambini e le scuole per l’infanzia, per un ammontare di risorse quasi pari a quelle stanziate nell’ultimo cinquantennio. Relativamente più contenuti risultano i finanziamenti per le spese correnti, che devono essere disponibili continuativamente su un arco di tempo lungo. Il Piano non fornisce alcun criterio per l’allocazione territoriale delle risorse assegnate a questa misura; non indica alcuna priorità, in quanto tutto è rimesso alla discrezionalità del Ministero dell’Istruzione, cui fa capo l’attuazione della misura stessa, che procederà attraverso bandi, il che richiede che gli enti locali abbiano le competenze tecniche per rispondere correttamente ai bandi. Assai meglio sarebbe stato che il Ministero avesse predisposto un disegno di sviluppo dell’edilizia scolastica, individuando aree e municipalità nelle quali realizzare gli interventi edilizi, anche attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione con gli enti locali. Inoltre il PNRR un grande piano di formazione dei cittadini al di là di quanto previsto per scuola e università. Nei centri per l’impiego sono previste ampie azioni di formazione e di riqualificazione dei lavoratori (o aspiranti tali). Sono previste ampie iniziative di formazione nei centri di facilitazione digitale e di certificazione dei sistemi duali di formazione. È da segnalare anche un grande investimento per la realizzazione di posti aggiuntivi nei nidi per infanti, prima esperienza di apprendimento e socializzazione per i più giovani e importante iniziativa per favorire la conciliazione lavoro-famiglia, creando condizioni più favorevoli per l’occupazione femminile;
e) anche gli interventi per l’università sono di espansione dopo i molti anni di continua diminuzione del finanziamento ordinario per gli atenei. Fra gli interventi in parola, relativamente nuova è la componente denominata “Dalla ricerca all’impresa”, che punta a rafforzare la ricerca favorendo la diffusione di modelli innovativi per le attività condotte in sinergia fra università, enti precipui di ricerca, imprese e altri soggetti pubblici o privati, sostenendo processi per l’innovazione e il trasferimento tecnologico nonché potenziando le infrastrutture di ricerca. È questa la cosiddetta “terza missione” degli atenei, aihmé sovente più orientata agli aspetti economici e finanziari degli atenei che all’impegno civico e sociale;
f) gli interventi indicati nei punti precedenti dovrebbero concorrere non poco a migliorare le possibilità di lavoro per i giovani e per le persone coinvolte nei fenomeni di ristrutturazione produttiva determinata dalle innovazioni nei processi produttivi. Lo stesso dovrebbe derivare dagli interventi di riqualificazione dei territori esposti a rischi idrogeologici, dal significativo miglioramento dei servizi di tutela della salute della popolazione, attraverso la riqualificazione del sistema ospedaliero e delle sue apparecchiature sanitarie, la costruzione di case di comunità nonché l’ampliamento delle spese correnti per il reclutamento di operatori qualificati per i diversi livelli di azione e assistenza alla tutela della salute;
g) rilevanti sono le risorse che il PNNR attribuisce alle misure che mirano a influenzare qualitativamente e quantitativamente la struttura produttiva del nostro paese. Esse costituiscono il nerbo delle politiche industriali, dette anche politiche per la competitività delle imprese, e si sommano a risorse provenienti dai bilanci degli enti pubblici, quali gli stanziamenti della c.d. politica di coesione (“fondi strutturali”), nonché dal Programma nazionale “Ricerca, innovazione e competitività per la transizione verde e digitale” e diversi programmi operativi regionali. A questo punto si pone il problema se queste risorse devono essere indirizzate ad accompagnare le traiettorie di sviluppo delle imprese o a fornire loro linee d’indirizzo; alternativa che ha alla sua base l’alternativa fra l’approccio liberistico, che ha fiducia nelle capacità del sistema produttivo di evolvere positivamente grazie ai segnali di mercato, vedendo il ruolo dello Stato solo nel creare condizioni di ambiente favorevoli per lo svolgimento delle attività produttive, quali la presenza di avanzate ed efficaci attività di servizi e di finanziamento degli investimenti delle imprese, bandendo invece ogni tentativo di programmazione pubblica dell’attività d’impresa o di esplicito aiuto dello Stato alle singole imprese. In termini di PNRR, non è dato sapere se, durante il lavoro di redazione del Piano, vi siano state, e in che misura, informali consultazioni con portatori d’interessi di diversa natura. Al momento, non risulta apertamente che interlocuzioni di questo genere vi siano state – e, se sì, quali parti del sistema produttivo nazionale abbiano coinvolto. Alla fin fine, pare che le decisioni su composizione e finanziamento siano state prese unicamente dal Governo Draghi. In itinere fino al 2026 – lo si è già visto all’inizio del presente scritto – il Governo in carica potrà deliberare variazioni al Piano, d’intesa con la Commissione Europea e con l’approvazione del Consiglio dell’UE.
Daniele Ciravegna