“Dobbiamo imparare a vivere tutti insieme come fratelli, altrimenti periremo tutti insieme come idioti” (Martin Luther King, alla cattedrale nazionale di Washington Dc, 31 marzo 1968).
Questo articolo vuole essere il primo di una serie che metta in luce un urgente tema politico, sistematicamente eluso dal dibattito pubblico corrente. Se non ci fossero le migliori forze della società civile ad approfondire ed elaborare proposte, l’entrata in vigore del trattato di proibizione delle armi nucleari (TPNW) il 22 gennaio sarebbe passata inosservata. A dire il vero anche questa norma internazionale è stata una conquista delle energie vive della società attraverso la campagna ICAN premio Nobel per la pace nel 2017. L’assenza di un approfondimento politico della difesa in Italia a partire dal 1978, in particolare nell’istituzione parlamentare, ha delegato questi temi come già denunciavo in un mio articolo (CLICCA QUI ) a riguardo delle ambiguità economiche e della carenza democratica di questo settore.
La questione delle armi nucleari si profila sotto due punti di vista, umanitario e di sicurezza strategica, che solo la politica può tenere insieme. Procedendo a partire dal primo sguardo quella che segue è un’introduzione alla problematica che verrà seguita da un approfondimento delle questioni chiave della sicurezza e una riflessione sulle opportunità offerte dal TPNW per l’Italia, un Paese che ha rifiutato il nucleare anche nella sua versione civile e si vede costretta ad ospitare armi di distruzione di massa sul suo territorio, esponendo così tutta la popolazione a un grave rischio; rischio che lo Stato senza alcun coinvolgimento democratico ha scelto di correre, come dimostra non solo l’avallo dell’opaca situazione attuale, ma anche le prospettive future con il programma degli F-35, destinati alle basi militari di Ghedi e Aviano.
La questione:
“Occorre eliminare le armi nucleari prima che esse ci eliminino” (J.F. Kennedy). La nostra generazione ha una responsabilità indeclinabile, quella di impedire un crimine immenso e irreparabile: la guerra nucleare, la catastrofe che tanti si illudono di poter controllare.
Il flagello più grande della nostra civiltà è ancora la guerra e in questa gestione violenta delle relazioni internazionali si inserisce il pericolo che vengano utilizzate le armi nucleari. Mentre l’uomo fatica ancora a rendersi conto che la guerra porta solo dolore, le cose sono cambiate rispetto al passato dopo che il 6 agosto 1945 gli USA lanciarono la prima bomba atomica su Hiroshima e il 9 agosto la seconda su Nagasaki, provocando circa 200.000 morti. Questa tragedia sottolinea come ci consentirà di sopravvivere solo l’impegno costante nel sostenere la pace e questa non può più fare a meno del disarmo a partire da quell’evento.
Lo scenario del cosiddetto “inverno nucleare”, mediante l’uso di modelli di circolazione atmosferica, permette di capire che anche nel caso di una guerra molto limitata (con l’esplosione di qualche decina di bombe su alcune città) o di un conflitto regionale (ad esempio una guerra nucleare tra l’India e il Pakistan), tutti i Paesi sarebbero rapidamente invasi dalle polveri e dei fumi prodotti dagli incendi delle città distrutte. Questo provocherebbe un abbassamento della temperatura su tutto l’emisfero nord per un anno intero, rendendo impossibile le raccolte dei prodotti alimentari e creando quindi una situazione di gravissima crisi. Una guerra nucleare di più vaste proporzioni (un migliaio di bombe) creerebbe una tale oscurità a livello del suolo che l’Italia ad esempio si troverebbe ad avere per un anno una temperatura intorno a 0°, lo strato di ozono sarebbe distrutto e il ritorno della luce solare dopo alcuni anni di oscurità produrrebbe un’intensa radiazione ultravioletta sui sopravvissuti; come conseguenza la maggior parte delle specie viventi si estinguerebbe, comprese le specie marine in seguito alla sparizione del plancton che si trova all’inizio della catena alimentare.
L’arma nucleare infatti ha la particolarità di distruggere l’aggressore e nello stesso tempo l’aggredito. Se essa venisse usata oggi in un conflitto, le nozioni stesse di aggressore e di aggredito perderebbero gran parte della loro pertinenza e lo stesso avverrebbe per tutti i termini che servono usualmente per descrivere le guerre. Viene a volte presentata come una super arma della stessa famiglia di quelle che l’hanno preceduta, semplicemente dotata di una carica esplosiva più potente. Questa presentazione non corrisponde alla realtà. Infatti non si tratta più come in passato di accrescere di un fattore cento o mille le capacità di distruzione. Si tratta invece di ripensare in profondità la definizione dei conflitti, tenendo conto delle devastanti conseguenze che si produrrebbero per tutti gli esseri umani e il pianeta.
Spesso viene evocato il codice nucleare che permetterebbe di provocare il suicidio dell’umanità. Questa possibilità alcuni Paesi la possiedono, ma che la decisione sia presa a Washington oppure al Cremlino, a Tel Aviv oppure a Teheran, a Parigi oppure a Pechino, resteranno solo le rovine dell’umanità evoluta se verrà usata in qualche conflitto.
Dal punto di vista umanitario:
“Ogni uomo, ogni donna o bambino vive sotto una spada nucleare di Damocle, appesa a dei fragili fili che possono essere tagliati ad ogni momento per incidente o per errore o per follia. Queste armi di guerra mostruose devono essere abolite prima che esse aboliscano […]. I negoziati sul disarmo devono riprendere rapidamente e continuare senza interruzione finché un programma di disarmo generale e completo non sarà stato non soltanto accettato ma anche realizzato” (J.F. Kennedy all’assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 1961)
Soprattutto in una fase della storia umana nella quale la tecnologia ha reso disponibili armi di distruzione totale nei confronti delle specie che abitano il pianeta i negoziati sul disarmo devono riprendere con il fine di giungere a una messa al bando di tali strumenti di terrore e morte. “All’inizio del 2019, nove Stati – USA, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Repubblica Popolare Democratica di Corea (o Corea del Nord) – disponevano di circa 13.865 armi nucleari, di cui 3.750 dispiegate e operative. Di queste, quasi 2.000 sono tenute in stato di elevata prontezza” (SIPRI). Ci troviamo di fatto in uno stallo che comporta un regime del terrore assimilabile a quello della guerra fredda. Con la differenza però che negli ultimi anni è aumentato il numero dei Paesi che dispongono di un arsenale nucleare, che detengono cioè un potere di distruzione incontrollabile. La distruzione conclamata delle testate rimane per ora un’ipotesi, finché si procede solo alla sostituzione di ordigni obsoleti con altri più potenti, trasportabili e precisi.
La denuclearizzazione e il disarmo mondiale permetterebbero di utilizzare la ricerca, i materiali e i finanziamenti destinati alle armi per altri fini, aumentando il tenore di vita e migliorando le condizioni sociali, ambientali e climatiche dell’intero pianeta.
È un dato di fatto che l’umanità potrebbe prendere l’iniziativa di far sparire sé stessa e forse anche nei prossimi giorni. Questa prospettiva è talmente assurda che coloro ai quali i popoli danno il potere sembrano non pensarci mai. Tutto è pronto per concludere la storia, facendola finire nell’indifferenza, per l’infantile incapacità di risolvere un conflitto altrimenti.
Se è importante instaurare un buon sistema educativo, un buon sistema sanitario, etc. questo risulterebbe inutile qualora non si operi affinché venga disinnescata questa minaccia.
Gli esseri umani che sono informati della possibilità di questa catastrofe annunciata, non possono sottrarsi alla loro responsabilità. l’opacità quasi totale rispetto alla realtà degli armamenti nucleari, della loro evoluzione e delle strategie adottate di certo non aiuta e porta con sé delle gravi conseguenze. Se delle calamità di cui soffre l’umanità una presa di coscienza bene o male c’è stata, ciò non è ancora avvenuto rispetto all’esistenza e alla proliferazione delle armi nucleari.
Ciascuna delle bombe di cui dispongono gli Stati attualmente dotati dell’arma nucleare possiede in media una potenza distruttrice 30 volte superiore a quella di Hiroshima. La bomba H più potente sinora realizzata, detta la “Zar bomba”, che è stata fatta esplodere nell’atmosfera a 4 km di altezza nell’arcipelago della nuova Zambla (nell’oceano Artico) il 30 ottobre 1961, aveva una potenza pari a 3800 volte quella di Hiroshima. Tale è la potenza distruttrice acquisita dall’umanità, la quale potrebbe scatenarsi da un momento all’altro, anche accidentalmente o per errore.
Le armi nucleari sono sempre state inutili per l’obiettivo che è stato loro attribuito, cioè quello di concludere rapidamente la seconda guerra mondiale e impedire altre guerre e lo saranno ancora fino alla loro eliminazione totale.
Preparare un crimine è già un crimine ed è proprio di questo che si tratta nella corsa agli armamenti nucleari. Le prese di posizione internazionali a questo proposito a partire dalla fine della seconda guerra mondiale non sono mancate. Nel 1946, non molto dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, l’assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella sua prima risoluzione, decise che “la commissione dovrà fare delle proposte per l’eliminazione delle armi nucleari, degli armamenti nazionali come pure di tutti gli altri tipi di armi di distruzione massiva”. Il 12 agosto 1949 è stata firmata la quarta convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra. In questa convenzione, che è tuttora in vigore, i civili sono chiaramente protetti da ogni atto ostile, perché tutte le misure di rappresaglia rivolte contro di loro e i loro beni sono strettamente proibite (articolo 31,32 e 33). Nel 1961 l’ONU ha statuito l’interdizione dell’impiego delle armi nucleari e termonucleari con la risoluzione 1653 (XVI), adottata dall’Assemblea Generale il 24 novembre 1961: “L’Assemblea Generale […] dichiara che: […] ogni Stato che impiega delle armi nucleari o termonucleari commette una violazione della carta delle Nazioni Unite, agisce nel disprezzo delle leggi dell’umanità e commette pertanto un crimine contro l’umanità e la civiltà”. Nel 1996 la posizione della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) sulla liceità della minaccia o dell’impiego delle armi nucleari fu molto chiara quanto alla necessità di rispettare il diritto internazionale umanitario: l’arma nucleare non può sfuggire alla sua applicazione. In particolare, se in un determinato caso per una qualsiasi ragione l’impiego della forza è illecito, la minaccia di ricorrervi lo è ugualmente. La CIG invece non ha potuto concludere sulla liceità in una circostanza estrema di legittima difesa nella quale fosse in gioco la sopravvivenza stessa di uno Stato. Il 1° luglio del 2002 l’entrata in vigore dello statuto di Roma ha consentito alla Corte Penale Internazionale (CPI) di colmare parzialmente il vuoto giuridico lasciato dalla presa di posizione della CIG. In effetti, la CPI permetterebbe di giudicare un capo di Stato che avesse deciso un attacco nucleare contro una città. L’articolo 7 dello statuto precisa la natura di ogni atto che può costituire un crimine contro l’umanità: viene fatto riferimento ad un attacco sistematico diretto contro la popolazione civile, e alla consapevolezza di partecipare ad un tale attacco per gli autori di questi crimini. Non sono tanto le leggi internazionali che mancano, quanto piuttosto la loro applicazione. Hiroshima e Nagasaki con il senno di poi sono stati due crimini di guerra, due crimini contro l’umanità. Eppure in mezzo alle voci di riprovazione, altre voci si levano per dire che in fondo che cosa rappresentano 200.000 morti in confronto ai 65 milioni di morti della seconda guerra mondiale nel suo insieme? Queste 200.000 vittime sono state uccise in pochi minuti e per opera di due sole bombe. Aldilà di queste morti immediate vi sono numerose altre vittime che hanno continuato a soffrire e morire a causa soprattutto delle ustioni e della radioattività prodotta dalle due esplosioni nucleari. Questo evento ha segnato l’inizio dell’era nucleare militare, nella quale ci troviamo attualmente. Da allora alla causa bellica hanno contribuito più di 2000 test di bombe nucleari, al fine di perfezionarne la tecnologia e aumentarne la potenza, che hanno costituito negli anni un elemento essenziale della proliferazione delle armi nucleari e anche della dispersione di radioattività sul nostro pianeta.
Detto questo non resta che chiedersi: quale sarebbe l’obiettivo ragionevole dell’uso strumentale di quest’arma (se ne possa esistere uno)? Il rischio associato risponde a una ragione valida? Si prendono sul serio i limiti e le possibilità di errore?
A queste questioni di carattere logico si legano inevitabilmente, a meno di estromettere la coscienza da questi temi, argomentazioni di carattere morale.
Che mondo lasceremo alle generazioni future? Quale nozione di giustizia, di solidarietà, di qualità della vita potrebbe sussistere di fronte all’istanza che condiziona la possibilità stessa di sopravvivenza dell’umanità?
Nell’era atomica, osserva Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris, è alienum a ratione pensare che la guerra possa essere utilizzata “come strumento di giustizia”. E proprio per questo motivo l’arresto della corsa agli armamenti e il “disarmo integrale” sono invece un obbiettivo “reclamato dalla retta ragione”. La costituzione pastorale Gaudium et Spes del concilio Vaticano II, approfondendo il tema, prende atto che le azioni militari condotte con armi nucleari superano “i limiti di una legittima difesa”. Ancora una volta, facendo ricorso alla ragione, si dice che se venissero utilizzati pienamente gli arsenali atomici in possesso delle grandi potenze “si avrebbe la pressoché totale distruzione delle parti contendenti”. Da qui segue il monito del Papa e dei Padri Conciliari che definiscono “delitto contro Dio e contro la stessa umanità” ogni guerra che “mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti”.
Giovanni Paolo II sottolineando che il valore del progresso tecnologico è veramente tale se è a favore dell’uomo, non contro di esso, nel discorso pronunciato nella sede dell’UNESCO a Parigi, il 2 giugno del 1980, invita gli scienziati a mostrarsi più potenti dei potenti della Terra: “Uomini di scienza, impegnate tutta la vostra autorità morale per salvare l’umanità dalla distruzione nucleare”. L’anno dopo, il Papa si reca il 25 febbraio 1981 in visita al Peace Memorial di Hiroshima. Qui pronuncia un memorabile discorso in cui sottolinea che, se ricordare il passato è “impegnarsi per il futuro”, “ricordare Hiroshima è aborrire la guerra nucleare”. E lancia una sfida che “consiste nell’armonizzare i valori della scienza e i valori della coscienza”.
Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2006 Benedetto XVI definisce “funesta” e “fallace” la prospettiva abbracciata da quei governi che “contano sulle armi nucleari per garantire la sicurezza dei loro Paesi”. “In una guerra nucleare, infatti non vi sarebbero vincitori ma solo vittime”.
Nel solco dei suoi predecessori papa Francesco ha approfondito il tema come nel caso del convegno in Vaticano del novembre 2017, che ha messo intorno al tavolo esponenti politici, premi Nobel e scienziati per cercare nuovi modi per liberare il mondo dalle armi nucleari, dove all’apertura ha dichiarato che “Le armi nucleari non sono solamente immorali, ma devono anche considerarsi un illegittimo strumento di guerra”; giungendo infine alla conclusione, espressa in più occasioni che non solo l’uso, ma anche il possesso di tali armi è immorale.
C’è un’altra considerazione da tenere presente al cuore di questo tema ed è la considerazione del ruolo dell’umano nello sviluppo strategico della tecnologia militare e in particolare nucleare. Gli scenari e le strategie belliche attribuiscono un ruolo sempre maggiore all’intelligenza artificiale data la tempistica sempre più contratta su cui si gioca l’esito del conflitto. Così facendo, l’estromissione via via più rilevante della coscienza umana considerata fragile e necessitante di un dispiegamento temporale troppo lungo in questi meccanismi decisionali è vista con una certa simpatia da chi sposa una cultura transumanista e il comando, talvolta problematizzato nella storia militare, viene sostituito da automatismi disumanizzati e più efficienti, che nessuno meglio di una macchina è in grado di produrre. Insomma si vuole far passare per necessaria l’eliminazione della coscienza da determinati processi decisionali soprattutto per quelle scelte consciamente insostenibili. Tuttavia ad oggi non potendo ancora fare a meno di una scelta personale, le tempistiche ridotte non permetterebbero mai una decisione sufficientemente ragionata.
Certamente tutto questo è spaventoso e alcuni pensano che l’arma nucleare, instaurando un equilibrio del terrore, potrebbe paradossalmente garantire la sicurezza e dunque costituire un fattore di pace. Tuttavia un tale equilibrio è necessariamente molto instabile e soprattutto a lungo termine rappresenterebbe, in ultima analisi, un pericoloso squilibrio.
Solo la politica può fare la differenza e non lasciare che tecnicismi e interessi particolari prevalgano sul bene comune. A partire dal manifesto e dal programma, Insieme è chiamato a portare avanti un’operazione politica fortemente orientata al fine della pace e attraverso azioni concrete volte a perseguire l’obiettivo del disarmo. Quest’opera non può esimersi dal coinvolgimento di quelli che sono i partner strategici della repubblica in un’ottica di multilateralismo e cooperazione e per questo occorre con coraggio pensare a delle politiche trasformative anche per l’Unione Europea e la NATO che vadano in questa direzione e portino avanti i nostri valori costituzionali. È fondamentale che queste tematiche non vengano eluse e siano riportate in seno al processo democratico.
“Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale” (Manifesto Russell-Einstein 1955).
Tommaso D’Angelo