Da quasi un decennio, l’Italia ha rinunciato all’idea di avere una collocazione internazionale autonoma e ben definita. Dal governo Monti in poi si è parlato tanto di credibilità. Comodo totem sotto cui sacrificare ogni barlume di progettualità geopolitica per appiattirsi sulle posizioni pensate dagli alleati; o presunti tali verrebbe da dire, visti i risultati.
Spiace ammetterlo, ma l’ultimo politico italiano ad avere una visione abbastanza chiara dell’Italia nel quadro geopolitico globale è stato Silvio Berlusconi. A torto o a ragione, egli vedeva la nostra nazione quale partner fidato degli Stati Uniti e solido interlocutore per gli affari arabo-mediterranei oltre che elemento di mediazione fondamentale al fine di instaurare un solido dialogo con la Russia.
Dopo Silvio il diluvio. Spiace ammetterlo perché il Cavaliere non è certo stato un gigante della politica internazionale. Anzi. Chi non ricorda i suoi pessimi siparietti? Chi non ricorda le figuracce con la regina Elisabetta?
Eppure… eppure dopo di lui il buio. Il governo Monti era così impegnato a recuperare credibilità che ha “dimenticato” l’esistenza di altro al di fuori dello spread.
I successivi governi Letta e Renzi sono stati altrettanto tragici: una nazione isolata tanto dai suoi partner storici quanto fuori dalla gestione di ogni questione importante. Tristissimo notare come i nostri primi “alleati”, Francia e Germania, ignorassero ogni istanza italiana, deprimente vedere come un partito vittorioso alle europee con il 40% delle preferenze, battezzato come baluardo dell’anti populismo e dell’euroscetticismo, non riuscì a far nulla nel proprio semestre di presidenza europea. Al contrario, appoggiatissimi e apprezzatissimi a parole, siamo stati ripetutamente esclusi dall’asse franco-tedesco tanto dai tavoli decisionali europei quanto da quelli internazionali e mediterranei.
Dal caso indiano dei marò alla guerra di Libia, dalla guerra in Ucraina agli eventi siriani l’Italia ha partecipato da spettatore a quanto deciso da altri. Nemmeno sul tema migranti si è riusciti a combinare alcunché, tant’è vero che le politiche del 2018 sono andate come sono andate.
L’unico spiraglio di luce, tardivo e insufficiente, nel decennio di buio geopolitico italiano, è coinciso con il periodo di Minniti agli Interni. Esatto, obiezione lecita: in Italia la politica estera dal governo Renzi in poi, pare venga demandata al Ministro degli Interni.
Ovviamente, una nazione di 60 milioni di abitanti, annoverata tra le prime 20 potenze mondiali, può permettersi questo lusso perché è evidente che, al di fuori dei barconi dei migranti, non c’è nulla che ci riguardi. Suppongo quindi che, avanti di questo passo, di economia se ne occuperà il ministro della famiglia: del resto, anche un “padre di famiglia” deve far quadrare i bilanci.
Accettando di guardare solo al tema “migranti” vorrei sottoporre alcune obiezioni, sia sulla gestione Salvini, sia su quella dei predecessori. Innanzitutto, bisogna ammettere che l’Italia è sola di fronte a questo problema così come lo era in precedenza.
Le sospensioni di Schengen, il rifiuto della redistribuzione dei rifugiati tra gli stati membri, i rimpatri illeciti nel nostro paese avvenivano tanto con Renzi quanto oggi.
Di più: a fronte di migliaia di migranti economici, e quindi non bisognosi di protezione, qualcuno ha mai sentito parlare di un fronte comune europeo per facilitare i rimpatri? Perché nessun politico italiano ha mai chiesto un aiuto del genere? Penso che si sarebbe tutti d’accordo, da Orban a Macron, da Salvini alla Merkel: gli accordi di gestione dei rimpatri si firmano come UE e ogni singolo stato membro ne beneficia. Approfondendo la questione, ci si potrebbe anche chiedere: “perché bloccare la freccia se si lascia libero l’arciere?” Fuor di metafora: perché ci ostiniamo a voler bloccare i barconi senza intervenire sulle cause del fenomeno migratorio?
Se allargassimo, invece, il nostro campo visivo, vedremmo questioni internazionali di ogni sorta: ruolo italiano in Europa, nel mediterraneo, nel mondo; gestione delle questioni energetiche internazionali come una seria politica di approvvigionamento di idrocarburi (oleodotti, accordi di sfruttamento ecc.), gestione delle rotte commerciali intercontinentali (nuova via della seta ecc.); questioni legate al cambiamento climatico, collaborazioni strategiche e molto altro.
Volendo fare una metafora, potremmo dire che uno stato è come un orto posto su una collina e circondato da altri lotti. Ammesso sia possibile, a che giova renderlo perfetto se la collina su cui poggia frana? Se il lotto superiore è infestato di parassiti, quello di fianco è in fiamme e quello inferiore è una discarica abusiva? Insomma, non può esserci tranquillità interna se il più ampio contesto globale non è tranquillo.
Pertanto, anche sul fronte internazionale c’è bisogno di buona politica, condotta con passione e intelligenza perché non essendo i più forti dobbiamo, necessariamente, essere i più intelligenti e spendere al meglio ogni singola risorsa.
Per questo motivo credo che Politica Insieme possa qualificarsi, rispetto ai partiti esistenti, come soggetto politico e culturale attento alle questioni internazionali e, perché no, capace di proporre una linea d’azione che, vista l’inazione attuale, risalterebbe ancor di più quale rappresentante un elemento di novità e, magari, anche di un catalizzatore di interesse.
Mattia Molteni