Da tempo, il tema dei “popolari” è tornato ad essere motivo ricorrente nel discorso pubblico. Sia pure, spesso, in modo approssimativo e un po’ confuso. Per lo più evocando il superamento della cosiddetta “diaspora”, intendendo come tale la pulviscolare dispersione – e dissipazione – della cultura politica, delle idee e delle stesse militanze politiche che si sono riconosciute, fino alla metà degli anni ‘90, nella Democrazia Cristiana.
Ora non si tratta di mettere in scena l’ “amarcord” di una stagione di straordinaria importanza per la maturazione civile e democratica dell’Italia che, giunta all’ apice del suo compito storico, ha esaurito l’ arco temporale della sua funzione. Piuttosto, va considerato come oggi, sia in quanto a metodo che in ordine ai contenuti, il popolarismo, secondo un’ accezione differente e nuova, meriti di essere rilanciato, nella misura in cui rappresenta la più efficace antitesi a quel troppo di “ideologismo” che, in ultima analisi, continua a rappresentare l’ordito su cui costruiscono le loro trame ideali e programmatiche sia la destra che la sinistra.
Nazionalismo e sovranismo da una parte, declinazione individualista e radicaleggiante di una cultura che pur fu, a suo tempo, popolare dall’altra, stanno determinando l’involuzione di un confronto politico che ha ben scarsa aderenza con le più impellenti preoccupazioni quotidiane degli italiani. In altri termini, è necessario riportare con i piedi per terra una politica dai toni urlati e striduli, giocata sul piano della mera contesa di potere che non fa altro che allontanare gli italiani dalle urne.
Come succede, ancora una volta, in Basilicata, addirittura con una partecipazione al voto inferiore al 50% degli aventi diritto….e dovere. Oggi è più problematico, di quanto non sia stato in altre stagioni, cogliere, con la necessaria evidenza, quelle istanze comuni che fanno “popolo”, cioè contrassegnano le attese e le speranze che creano reciprocità e coesione sociale, perfino al di là delle diverse appartenenze politiche.
Questo collante, rappresentato dalla comune vocazione “popolare”, ha giocato un ruolo importante nei momenti più delicati della nostra vicenda democratica. Oggi questa dimensione va, in un certo senso, portata alla luce scavando nel coacervo di interessi particolari, desideri, aspettative particolareggiate, aspirazione strettamente personali, opzioni individuali che ne occultano l’ impalcatura che pur persiste.
Il filo conduttore di questa ricostruzione di un destino comune passa, anzitutto, dopo una lunga stagione di diritti individuali, da una riscoperta dei “diritti sociali”, di quelle politiche che rispondono alle istanze fondamentali in cui le famiglie ritrovano un sentimento di identità condivisa e di reciproca solidarietà.
Il lavoro, la casa, la scuola e l’ educazione e la cultura, la salute, la cura dei minori e l’accoglienza degli anziani, l’ambiente, la vivibilità dei contesti urbani: sono, in primo luogo, questi i luoghi e gli spazi entro cui riedificare quella comune ricerca di una motivazione forte e di un senso compiuto della vita.
Domenico Galbiati