Il potere politico si manifesta, da sempre, in tre tipologie astratte: a) democrazia, b) oligarchia, c) monarchia. Escludendo a priori la seconda e la terza forma, sia perché non ci riguardano più da un’ottantina di anni, sia per ragioni di brevità e semplificazione espositiva, mi soffermo sulla forma di Stato di Repubblica ispirato al principio della divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) che dovrebbe alimentare correttamente la vita pubblica della Nazione.

Il sistema vigente, attualmente, può definirsi “parlamentocratico” nel senso che la sovranità popolare viene rappresentata ed esercitata da ogni singolo parlamentare “senza vincoli di mandato”. Quindi il potere legislativo delle Camere è o – piuttosto – dovrebbe essere centrale e assolutamente prioritario, di conseguenza intoccabile perché connesso alla volontà popolare. La qual cosa risulta, oggi e non solo, messa in dubbio qualora l’Esecutivo (come quello in carica) tende a spingere sulle deroghe costituzionalmente prescritte, avvalendosi anche della funzione legislativa in sede di un’applicazione estensiva o ad libitum (si dice attualmente “border line”), secondo un abuso nell’emanazione dei decreti legge e dei decreti legislativi.

Il vizio di forma si traduce, solitamente, sul piano sostanziale dato dal fatto che la maggioranza parlamentare, fedele e prona ai “diktat” governativi, non farà altro che approvare la deliberazione del Consiglio dei ministri, limitandosi al massimo ad introdurre uno o più emendamenti alquanto irrilevanti prima di tradurre detti provvedimenti in leggi ordinarie dello Stato.

Va sottolineato che questa legislatura è destinata a stabilire dei record negativi per la “espropriazione del potere legislativo”, tant’è che nel primo trimestre si è raggiunto già un risultato eccezionale con 15 decreti legge esaminati e convertiti. Fatto unico nel contesto europeo!

Come se tutto ciò non fosse sufficiente … succede, di tanto in tanto, che esponenti del Governo (in tal caso di Destra, ma non sono mancati altre formazioni) si indignino – al posto nostro! – e protestino vibratamente, avvalendosi tra l’altro dei potenti mezzi a loro disposizione per motivi istituzionali o meno (vds. chiacchiere da bar dello sport o gossip). E così dobbiamo registrare un nuovo record nazionale: dopo 32 anni da “Tangentopoli” e la cosiddetta rivoluzione legale di “Mani pulite” dobbiamo ancora assistere, passivamente e penosamente, al braccio di ferro politica/magistratura senza riuscire a farci una ragione logica e utilitaristica visto che lavoriamo (o abbiamo lavorato) onestamente  contribuendo fattivamente alla crescita economica e sociale dell’Italia. Una qualche motivazione la si poteva trovare all’epoca di Berlusconi, per via del suo egocentrismo politico, finanziario e personale che lo portò, inevitabilmente, a dividere il Paese tra i berlusconiani che lo mitizzavano e gli antagonisti.

Ebbene, ormai non è più accettabile l’idea di spaccare la comunità nazionale e vieppiù annoiarci, un giorno sì e l’altro pure, con beghe interminabili e pure insopportabili per chi, invece, gradirebbe misurarsi con progetti reali di sviluppo sostenibile, solidarietà e progresso civile o culturale.

Gli italiani sono avvezzi, da secoli, alle “dominazioni” e all’esercizio maldestro del potere politico. E pertanto sono in buona parte tolleranti, pazienti e talvolta sottomessi. Ma non è affatto scontato che, prima o poi, non scoppi la voglia di ribellarsi, magari avvalendosi del facile utilizzo sui social dell’intelligenza artificiale. In fondo, non penso che alla gran parte di noi interessi molto se sia la magistratura ad invadere il campo della politica o se questa rivendica la propria impunità, forzando le prerogative del proprio status. Semmai, desideriamo che il Bel paese veda risorgere, senza infingimenti né sconfinamenti,  il principio della certezza del diritto e la legalità insieme ad un livello minimo di etica nella gestione degli affari politici e del lobbismo.

Michele Marino

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