Nel modello presidenziale americano, il Capo dello Stato, eletto a suffragio universale è anche guida del governo. Mancando il primo ministro, il Presidente incorpora nella sua persona l’intero potere esecutivo. Il potere legislativo, rappresentato dal Parlamento risulta però totalmente separato: i parlamentari non possono sfiduciare il Presidente né questo può sciogliere anticipatamente le Camere convocando nuove elezioni. Presidente e Parlamento sono due poteri paralleli senza interferenze l’uno con l’altro: separazione e bilanciamento dei poteri, per l’appunto.

Altro modello è quello semipresidenziale adottato in Francia. Anche qui il Capo dello Stato viene eletto a suffragio universale ma in questo caso la guida del governo è affidata ad un primo ministro. Il premier è scelto dal presidente della Repubblica ma deve poi godere della fiducia della maggioranza del Parlamento. Qualora la maggioranza parlamentare voti la sfiducia al primo ministro, questi si deve dimettere. A quel punto il Presidente ha due possibilità: nominare un nuovo premier che possa disporre del sostegno parlamentare o decidere di sciogliere le Camere sperando che dalle urne scaturisca una maggioranza a lui favorevole. Se i cittadini riconfermano la maggioranza a lui avversa, il Capo dello Stato per dar vita ad un governo dovrà comunque sottomettersi alla volontà parlamentare.

A conti fatti, sia nel presidenzialismo che nel semipresidenzialismo accanto ad un’indubbia preminenza del Capo dello Stato sussiste comunque un forte contrappeso parlamentare. Cosa che invece manca nel premierato,

Nell’inedito modello che la destra vorrebbe introdurre nel nostro Paese, il principio fondante – estraneo sia al modello presidenziale che a quello semipresidenziale – è un’eccezionale concentrazione del potere in una sola persona senza alcun contrappeso. Il Parlamento non ha modo di far valere il proprio dissenso e la maggioranza si trova a totale servizio del premier eletto dal popolo. Il voto di sfiducia al premier comporta infatti l’immediato ritorno alle urne, senza l’intervento di alcun organo di garanzia: un automatismo che esclude a priori l’autonomia del Parlamento rispetto al Governo.

In buona sostanza il premierato si allontana dai classici modelli del moderno costituzionalismo liberale basati sulla separazione dei poteri. Non a caso nessuna democrazia lo ha adottato, tranne per un breve tempo Israele, tornato però rapidamente sui propri passi.

In questa incontrollata supremazia del primo ministro si avrebbe, di conseguenza, il ridimensionamento dei poteri di garanzia del Capo dello Stato cui sarebbero tolte le due più importanti attribuzioni: la nomina del presidente del Consiglio e lo scioglimento anticipato delle Camere. Due competenze non esercitate arbitrariamente – come afferma ai quattro venti la destra a proposito dei governi tecnici “non scelti dal popolo” – ma sempre nel pieno rispetto degli equilibri parlamentari derivanti dal voto dei cittadini.

Ce n’è quindi abbastanza per respingere senza mezzi termini il premierato. Un sistema privo di adeguati contrappesi e che – come ha sottolineato la senatrice a vita Liliana Segre nel suo magistrale intervento in aula – accentrando tutto il potere in una persona soltanto, rappresenta la deriva più pericolosa per la nostra democrazia.

Aldo Novellini

Pubblicato su www.associazionepopolari-it

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