Queste elezioni hanno confermato la crisi dell’intero apparato politico che noi denunciamo da anni. Inizialmente, quasi in solitudine. Adesso vediamo che il problema sta diventando giustamente di dominio pubblico. Sul tema interviene, ma purtroppo solo silenziosamente, pure gran parte del corpo elettorale con l’astensione.
C’è da chiedersi quanto il cambio della legge elettorale, una che soprattutto fosse servita a non avere dei “nominati”, ma dei veri eletti, avrebbe potuto segnare un punto di svolta.
Troppi i silenzi sulla mancanza di una democrazia sostanziale. Al punto che sta diventato un problema di “civiltà” politica e istituzionale. E questo ci conferma, ancora una volta, come pure tutto l’insieme della comunicazione sia funzionale al sistema sempre più rinchiuso in un circuito da addetti ai lavori e di nominati. L’esaltazione della vittoria di Giorgia Meloni o, di converso, il risultato raggiunto da quelli che si presentano come il primo partito di opposizione, infatti, non è mai giustamente inquadrata, in televisione e sui giornali, sulla base dei dati reali dell’effettivo consenso ottenuto. Bisognerebbe quasi arrivare a dimezzare la portata dei voti che fanno parlare di un autentico trionfo, come ha ben illustrato Alessandro Risso (CLICCA QUI). E tutti fanno finta di ignorare che questo dimezzamento riguarda anche loro. Parliamo, insomma, della mancanza di un’effettiva rappresentatività da parte di chi vince … e di chi perde.
Intanto, sappiamo delle tante iniziative in corso per sfidare in tutte le sedi un sistema elettorale che grida vendetta al cospetto dei padri fondatori della nostra Repubblica e ai principi che dovrebbero stare alla base di una democrazia adeguata ai nostri tempi i quali chiedono più partecipazione, più trasparenza e una sintonizzazione reale con la comunità dei cittadini e dei votanti. E’ necessario portare questa sfida allo scoperto e organizzarla per offrire uno dei più grandi servizi a noi stessi e alle future generazioni. Anche per evitare che le difficoltà sociali sfuggano al controllo e finiscano per incanalarsi slungo derive pericolose per la civile convivenza, come già accaduto nel passato, a destra come a sinistra.
Gli amici dell’area cattolica, hanno prodotto appelli ed auspici come mai accaduto in occasione di precedenti elezioni. Se da un lato, questo dimostra la ripresa di una doverosa consapevolezza, dolosamente sopita nel corso degli ultimi trent’anni, dall’altro, conferma ancora di più la gravità della situazione italiana. Ma per ora sempre agli appelli si rimane.
Ecco, visto che da tempo si parla tanto autorevolmente della irrilevanza dei cattolici, favorita dalla tendenza a seguire logiche di schieramento piuttosto che di contenuti, sarebbe opportuno riflettere sul se e sul quanto la questione della ricerca della democrazia sostanziale, e del suo sostegno concreto ed effettivo, non possa diventare un motivo per uscire dalla lamentazione e dall’apatia. E, una volta tanto, andando al nocciolo dei problemi che contano senza alcun complesso d’inferiorità nei confronti della destra o della sinistra.
L’intenzione dei vincitori delle elezioni è quella di mettere sul tavolo la questione del presidenzialismo nel tentativo di risolvere una volta per tutte la dicotomia tra governabilità e rappresentanza. E lo fanno nella maniera più verticistica. Quella nel tempo coltivata dalla destra italiana, dalla Pd2 di Lico Gelli e da quegli interessi che hanno bisogno di una politica più facilmente manipolabile e di un Parlamento ancora più debole; e più di quanto non consenta un sistema praticamente sfasciato, ma almeno ancora in grado di mantenere un barlume di quei meccanismi di equilibrio che tra i poteri pubblici e all’interno dei tanti interessi che percorrono la società, l’economia, le istituzioni. E’ l’equilibrio, come metodo e come sostanza, a costituire l’essenza e la garanzia di una democrazia propria di un paese moderno.
Non si tratta di farsi prendere dalla competizione politica così come si è andata sviluppando negli ultimi trent’anni, noi vittime di un bipolarismo che ha finito per svilire l’impegno pubblico e ridurre tutto ad una contrapposizione forzata e in grado di far perdere per strada il senso profondo dell’impegno pubblico. I nostri veri problemi sono rappresentati da una sommatoria di questioni andate aggravandosi con la fine dell’esperienza della Prima Repubblica. Ne cito solo alcune, più drammaticamente evidenti: la vita dei partiti non regolamentata, perché mai è stato applicato l’art. 49 della Costituzione; il sostanziale svuotamento del ruolo del Parlamento a favore dei governi che hanno abusato e stra – abusato della decretazione d’urgenza e dell’uso dei decreti delegati ( e in questo sta una indelebile contraddizione di chi oggi vuole rafforzare i poteri dell’Esecutivo); il ruolo della Conferenza Stato – Regioni, che creata con un semplice DPCM, di per sé non avrebbe alcun peso di natura costituzionale, diventata una verticistica e surrettizia camera di compensazione tra i partiti, o loro parti, e gli interessi che premono al fine di piegare ai loro disegni parziali e parcellizzati ciò che invece dovrebbe avere come sfondo l’insieme del Paese. A tutto questo poi andrebbero aggiunte le questioni della burocrazia, dell’impoverimento delle autonomie locali e, sopra di tutto, l’oggettivo stato di abbandono in cui è lasciato il Mezzogiorno. Gran parte di tutto ciò è frutto della “governabilità” che oggi si vorrebbe ulteriormente premiare.
Di fronte a tutto ciò c’è chi ancora continua a pensare ad un impegno cosiddetto pre -politico. Questo è un lusso che l’Italia e gli italiani non hanno più il tempo di potersi permettere. Superando le logiche dell’estraneazione e dell’indifferenza seguite negli ultimi tre decenni, ci si dovrebbe cimentare attorno all’essenza dei punti chiave che verificano se c’è una effettiva democrazia, un disegno solidale, se vengono assicurata partecipazione ed inclusione, e non perdersi in una logica animata dalla “prudenza”, dall’equidistanza e dall’indifferenza, o quant’altro ha caratterizzato l’atteggiamento di una precisa area della società italiana la quale ha temuto che l’andare al fondo dei problemi urti questa o quell’altra parte. E dire esplicitamente che il presidenzialismo rischia di essere solo una cortina di fumo, e sostenerlo con chiarezza. Tanto non mancherà occasione per dire quel che va detto ad una sinistra che ha portato un grosso contributo per far finire l’Italia nelle condizioni in cui è ridotta.
Giancarlo Infante