Tutto nasce dall’insoddisfazione per il cattivo funzionamento delle Istituzioni e per i conseguenti rifessi negativi sulla vita ordinaria delle persone. Ci sono, anche in questo ambito di riflessione, due punti di orientamento principali: il
primo, quello della gente, la sicurezza personale e familiare, la giustizia avvertita, la serenità per il futuro, insieme a tanti altri; il secondo, quello della politica, di cercare nuovi punti di equilibrio in vista della gestione del potere. Raramente il secondo si integra con il primo, anzi, in genere, lo penalizza, aumentando le condizioni di incertezza sociale.
Vorrei che le parole fossero in grado di esprimere i sentimenti: noi, in Italia, e le persone nel resto del mondo, non sentiamo il bisogno di compromettere consolidati equilibri istituzionali, semmai di ricalibrarli su persone, famiglie e pace. Sappiamo come nascono storicamente le opzioni tra presidenzialismo e parlamentarismo. Sono precedute da accadimenti storici enormi, guerre, rivoluzioni, liberazioni. Nel nostro Paese, fortunatamente, siamo in una situazione diversa. Il nostro problema è la crisi dei partiti che porta con sé una grave crisi morale dell’intera nazione. Che prevalga il presidenzialismo o il parlamentarismo è indifferente quando di base sono caduti valori civici, civili, morali. Troppo facile portare esempi tratti dalla situazione internazionale odierna. Lo fanno quelli che sono parte della crisi delle istituzioni, per propri interessi facilmente intuibili.
Noi preferiamo l’analisi politica del problema e la sua soluzione: non è il tempo, recte, non c’è tempo per fare dell’accademia quando il confronto politico s’è incarognito al punto di essere diventato, dichiaratamente o implicitamente, scontro per la sopravvivenza delle libertà democratiche. Perché irrompe nell’orizzonte
della democrazia consolidata l’opzione del presidenzialismo? È accaduto in Italia che si sia andato consolidando il fenomeno della “presidenzializzazione” della nostra democrazia come conseguenza del depositarsi nel potere esecutivo, nel Governo, di un sovrappiù di forza corrispondente ad un sovrappiù di capacità di comunicazione, di un
sovrappiù di credito popolare nella capacità di affrontare (non necessariamente di risolvere) i problemi del
vivere quotidiano. Ve ne do prova: una pubblica opinione non particolarmente educata a conoscere il funzionamento delle istituzioni, incline a confondere esecutivo e legislativo, s’è trovata a proprio agio ad identificare in un unico soggetto pubblico il trinomio potere-persona-funzione. Tradotto: do potere ad una persona perché svolga una funzione. Dal 1993/1994 ad oggi, attingendo alla logica del sondaggio popolare, il “chi ha fatto cosa” corrisponde a nomi: Berlusconi, Prodi, Renzi, Meloni.
È venuto a compimento il disegno berlusconiano delle elezioni mascherate del premier, prescelto per designazione di partito e convalidato dal suffragio elettorale. Qualche mugugno c’è stato, presto riassorbito dal sistema. Resta un fatto, che i Presidenti del Consiglio tecnici, Monti, Draghi, a giusto vedere, sono stati in buona sostanza figli di
un sistema parlamentare funzionante, mentre i Presidenti del Consiglio “indicati” (non eletti dal corpo elettorale) sono risultati figli del presidenzialismo strisciante.
Parlamentarismo e presidenzialismo si giocano la loro partita in un campo quadrato, con lati contrapposti uguali, denominati convenzionalmente rappresentanza e governabilità. All’interno di questa rappresentazione grafica si colloca la democrazia. Se non prevale la responsabilità democratica (nei partiti, nei corpi intermedi, nelle persone) tra potere legislativo e potere esecutivo, quale che ne sia la colorazione, prevale la competizione. Sembra un paradosso, in fondo i due poteri sono complementari, (pazienza per quello giurisdizionale che non ha investitura elettiva) ma tra chi fa le leggi e chi le esegue si instaura una competizione permanente. Se contenuta nella fisiologia istituzionale, potrebbe essere salutare.
Quanto sarebbe utile al Paese che tra Parlamento e Governo si competesse in termini di qualità, con il Presidente del Consiglio e l’intero Consiglio dei Ministri ad incalzare il Parlamento sul fronte della qualità delle leggi, pretendendone la leggibilità, la trasparenza, ai fini della loro esecuzione. Quanto sarebbe utile che il Parlamento incalzasse il Governo sulla esatta esecuzione dell’indirizzo politico generale facendo valere la pretesa della sede della rappresentanza generale di verificare il principio di responsabilità politica del Governo per ciascuno degli atti che
compie in esecuzione della legge.
Ma cosa è avvenuto ed avviene, sotto i nostri occhi? Che il potere esecutivo, al netto della proposta presidenzialista del Governo in carica, è divenuto dominante, si è sostituito al Parlamento sottraendogli la centralità istituzionale.
Originariamente, non timidamente, irrompe nella legge elettorale l’indicazione sulla scheda elettorale del nome del candidato Presidente del Consiglio; successivamente, da parte di tutti i Governi succedutisi nell’ultimo ventennio,
l’espropriazione della funzione legislativa delle Camere nella tenaglia della decretazione d’urgenza e dei voti di fiducia; la violazione dell’art.72 della Costituzione, ed il ricorso ad libitum, da parte del Governo, al testo sostitutivo del testo di derivazione parlamentare con l’apposizione del voto di fiducia e la caducazione integrale del confronto
parlamentare, cioè della dialettica politica sul governo delle cose. Sostituita, si dirà banalmente, dal voto di una maggioranza parlamentare. Sottolineatura da azzeccagarbugli del diritto costituzionale, causidica quanto sguaiata, dal momento che il punto democratico non si risolve nel solo voto di maggioranza, bensì nel rispetto della sostanza democratica delle procedure di confronto in Parlamento di tesi legittimamente contrapposte.
La legge è di una maggioranza o dello Stato? Risposta scontata: è dello Stato, nel quale si ricompone lo spirito democratico delle maggioranze e delle minoranze. Diversamente, viene meno un pezzo insopprimibile della democrazia: il confronto. Diversamente, sottostante l’istinto presidenzialistico, si affaccia la tentazione di dare
ogni potere ad una maggioranza eletta. Rinviando, così, vigliaccamente, al confronto elettorale la funzione del controllo da esercitarsi da parte del Parlamento sul Governo per ciascuno dei suoi atti di esecuzione o di proposta di regolazione legislativa. E che ci sta a fare, allora, il Parlamento, se il controllo sul Governo viene esercitato direttamente dal corpo elettorale, nell’esercizio di una sovranità non più sviluppata nel farsi della gestione, bensì a consuntivo. Perfino i presidenzialisti dovrebbero preoccuparsi di tal deriva economicistica e meccanicistica!
Provo a sintetizzare. Mica tanto tempo fa, in Europa, s’è compiuta, nella modernità la rimonta delle democrazie sugli assolutismi. Leggi e Parlamenti al centro. Re e governi ad eseguire. Le Costituzioni a tenere insieme la diversità interna delle nazioni (da valorizzare, non da cancellare). L’unificazione in una persona dei poteri, una bestemmia. La supremazia dell’esecutivo sul rappresentativo, un ritorno al passato, una beffa da rintuzzare beffardamente. Più tardi sono arrivati i partiti, con mille funzioni da svolgere e nessuna responsabilità assegnata e sanzionata. Tutte le volte che le cose si sono messe male, la responsabilità è stata fatta cadere sulle istituzioni. E i partiti, tutti? I partiti, tagliando il ramo che li sosteneva si sono deparlamentarizzati, si sono larghissimamente lasciati andare ad ogni forma di populismo. Si sono convinti che fosse più conveniente proporsi come sostenitori della “funzione di governo”. È stato ben detto nei seguenti termini, ai quali mi associo senza riserve: “La funzione principale dei
parlamenti, agli occhi dei partiti di maggioranza è di essere ed apparire sostenitori del Governo, agli occhi dei partiti di minoranza, di criticarlo nell’attesa di prenderne il posto”.
Se i partiti sono diventati “elementi ausiliari del potere esecutivo” (Mair) siamo nel paradosso vivente della democrazia rappresentativa. I partiti scelgono di essere paladini governativi presso la nazione, presso di noi e, contribuendo a delegittimare il Parlamento, mortificano o annullano la rappresentazione/rappresentanza degli interessi nazionali nelle sedi della formazione delle leggi e dell’esercizio del controllo sul potere esecutivo. In questo tempo opaco, nel quale i diritti e le libertà sono stati messi in ultima linea rispetto agli interessi, se le cose vanno male dai partiti viene l’indicazione a non prendersela col Governo (piove, governo ladro) ma col Parlamento (piove, parlamento ladro).
Concludo con le parole di Tocqueville: «Presso i popoli liberi, si governa solo attraverso i partiti, o meglio il Governo è un partito che ha il potere. Il Governo è dunque tanto più perseverante e previdente quanto più il popolo esprime partiti compatti e permanenti». Ecco, il nostro è il tempo dei partiti personali e transeunti, con un insopportabile e nauseabondo odore di servilismi e corruzioni. Se passiamo al presidenzialismo, slittiamo verso il partito del capo (o a qualche suo mascheramento). Operiamo per trasformarlo nel tempo dei partiti rappresentativi della volontà democratica dei cittadini!
Alessandro Diotallevi