L’Europa costretta ad interrogarsi profondamente dopo la vittoria di Trump negli Stati Uniti. Si ripresenta lo spettro di rapporti difficili, già sperimentati nel primo quadriennio di Trump alla Casa Bianca. E’ un po’ come se fosse stata scoperta l’acqua calda e gli accenti cadono soprattutto su due temi scottanti: i dazi e le spese per la difesa.
Anche i più titolati per dirsi “amici” del nuovo Presidente Usa, lasciano trapelare una certa preoccupazione. Esulta platealmente solo l’ungherese Orban che già pensa di ritagliare per il suo paese la funzione di “piattaforma trumpiana”, ideologica e logistica. Anche se non manca chi, guardando soprattutto ai rapporti con Musk, autore di diversi giri in Europa negli ultimi due anni alla ricerca di chi gli consenta profitti più alti e libertà piena di manovra, almeno per la parte “logistica”, intesa in senso ampio, pensa di potersi giocare qualche carta.
Lo ha fatto capire anche Giorgia Meloni partecipando agli incontri europei di Budapest, del resto, mettendosi nella scia di simili dichiarazioni fatte da suoi amici di partito che, subito dopo la vittoria dell’accoppiata Trump -Musk, hanno fatto riferimento quasi soprattutto a quest’ultimo e alle speciali relazioni create nel tempo con l’inquilina attuale di Palazzo Chigi.
Ma al di là della santificazione dei rapporti con Musk, Giorgia Meloni ha un po’ gelato il padrone di casa Orban perché è restata in sintonia con molti altri leader dei 27, sostanzialmente indicando una propria preoccupata posizione di attesa delle effettive linee politiche che Trump intenderà sviluppare. È chiaro che a tutti sono restate nelle orecchie le ripetute dichiarazioni da candidato, e ribadite anche a voto praticamente espresso, su ciò che riguarda gli europei considerati, e trattati, a voler bene leggere con realismo il tutto, e considerando pure il suo primo quadriennio da Presidente, se non da avversari, almeno, da amici poco fidati e da concorrenti di “serie B”.
C’è da chiedersi se sia bene interpretato il significato profondo del suo “America first”. Siamo sicuri che si tratti di isolazionismo oppure di dirigismo tutto finalizzato a garantire il, oltre al guardare al solo crudo interesse di parte? Non siamo quindi solo di fronte ad una preoccupazione da circoscrivere alle questioni dei dazi e del contributo alle spese militari.
Questa cosa da chiarire con il tempo potrebbe spiegare la frase di Giorgia Meloni che ha dato prova di un sorprendente ed inatteso europeismo: “non chiederti cosa gli Stati Uniti possano fare per te, chiediti cosa l’Europa debba fare per se stessa, che è il dibattito di questa mattina”.
Ora, bisogna mettere nel conto che Giorgia Meloni ha dimostrato di adattarsi camaleontescamente agli ambiti in cui deve intervenire, oltre a considerare che non ha ancora portato a casa la cosa che più le interessa in Europa in questo momento, quella cioè della elezione senza intoppi di Raffaele Fitto alla Commissione europea.
E una sorta di certa presa di distanza dalle intenzioni di Trump sono state indirettamente espresse dalla nostra Presidente del consiglio anche sull’Ucraina a proposito della quale già gli ambienti trumpiani fanno circolare una proposta di pace che significa una totale capitolazione di Kiev: “gli ucraini – ha detto Giorgia Meloni – hanno avuto un coraggio straordinario, l’Occidente ha sostenuto l’Ucraina e penso che questo sia l’elemento che fa la differenza. Dopodiché ovviamente vedremo come evolve lo scenario nelle prossime settima e ne ma io ribadisco che finché c’è una guerra l’Italia sarà al fianco dell’Ucraina”.
A parole, la presa di distanza più significativa, però, è venuta dalla questione delle spese militari: “Ci sono nel nuovo patto di stabilità delle aperture, ma secondo me va fatto molto di più. L’unica cosa che io non sono disposta a fare, ovviamente, è prendermela con i cittadini italiani, i lavoratori. Noi spendiamo le risorse su priorità che sono reali”. Ma per Trump le priorità sono altre non certo la spesa sociale per gli italiani. Anche se, poi, c’è da dire, che nel 2023, l’investimento dell’Italia in difesa è salito a quasi 30 miliardi di euro con un incremento del 20% rispetto ai 25 del 2022.
Si vede che l’aria di Budapest, proprio quella in cui soffia un vento antieuropeo più frizzante, ha influenzato anche altri. Come nel caso di Emanuel Macron che, proprio in relazione ad un’idea di difesa autonoma dei 27, ha suonato la sveglia all’Europa: “dobbiamo difendere i nostri interessi. Dobbiamo scrivere noi la nostra storia”. E così, il Presidente francese è tornato ad insistere sul concetto di sovranità europea anche nel settore militare. Questo lo dice il rappresentante di quella Francia che per decenni e decenni, in realtà, ha sempre e solo contato sulla sua forza di dissuasione nucleare, detta anche force de frappe che, dal 1958 in poi, ha costituito una ragione di oggettivo freno ad ogni ipotesi di difesa europea.