Com’era facile immaginare, dopo la decisione di Matteo Renzi di mettersi alla direzione de Il Riformista, la leggera maretta che ha sempre caratterizzato il Terzo Polo è diventato un più forte moto ondoso, vicino al livello di burrasca. Calenda, in effetti, aveva accolto la scelta del suo co-azionista con molta freddezza, se non addirittura ostilità. Vi aveva letto la conferma della caratteristica tutta “renziana” di giocare sostanzialmente, e sempre, in proprio. Non sappiamo ancora quale sarà l’esito della vicenda anche se ieri sera Carlo Calenda è sembrato molto rassegnato. Può darsi che, invece del preannunciato congresso unitario, ci si troverà ad assistere alla solita scomposizione cui non segue alcuna ricomposizione.
Vengono al pettine alcuni dei punti nodali che riguardavano sin dagli inizi la formazione nata improvvisamente con la campagna elettorale dello scorso 25 settembre quando i due, che si erano sempre reciprocamente guardati come il fumo nell’occhio, decisero di dare vita ad una lista comune. Non sfondarono, ma ottennero un 8% che pure un suo significato avrebbe potuto avere se solo avesse costituito il possibile punto di partenza della presentazione di un elemento di novità nella politica italiana.
E questo elemento di novità non poteva che essere trovato, più che per provare a rilanciare, a destra come a sinistra, la “politica dei due forni”, nell’iniziare un deciso lavoro diretto al superamento del bipolarismo e di tutto quell’insieme di proposte e di comportamenti destinati a richiamare una larga parte del Paese. Quella parte che, come dimostra la voragine aperta dall’astensionismo, ha voltato le spalle al trentennio della politica bipolare. C’è una diffusa realtà costituita del civismo e dal fiorire di presenze autonome in migliaia di comuni italiani. C’è anche tanta società civile silente, e meno attiva, alla ricerca comunque di una ragione per partecipare: gruppi intermedi autonomamente organizzati, in gran parte di ceto medio, da tempo in attesa di un punto di riferimento in grado di farsi interprete e voce delle loro esigenze.
E’ pertanto necessario più che parlare di Terzo Polo, come di un soggetto geometricamente aggiunto ai due schieramenti contrapposti, di un’alternativa autentica che non diventi solo un pezzo in più, moderato, liberale, riformista, aggiungiamoci pure tutti gli aggettivi che vogliamo, di un qualcosa che con grande evidenza gli italiani vogliono veder superare.
Sta forse qui, invece, un po’ il peccato originale con cui è nato il Terzo Polo di Renzi e di Calenda. Un un po’ troppo presi ancora a misurare i risultati della politica in relazione alle loro vicende personali e dei più stretti gruppi che stanno loro attorno.
Per quanto ci riguarda, non possiamo che ripetere quello che dicemmo sin dagli inizi, quando pure sembrava che un elemento di novità venisse proprio dall’alterità di un diverso posizionamento politico. Il quale, però, abbisognava di una forte impronta solidale e aperta davvero alle istanze della società civile, dell’intero mondo del lavoro, imprese e lavoratori, e di quei mondi culturali e sociali oramai collocatisi nella perifericità di una politica sorda ad ogni cambiamento. Un’entità originale animata dal solidarismo che cura la persona, la famiglia, le entità sociali intermedie, la dignità del lavoro e dell’ambiente. Un solidarismo non generico e di maniera, insomma, ma in grado di rispondere alla necessità di modificare completamente il nostro modello di sviluppo e in grado di andare oltre il vecchio riformismo di maniera e che non si ferma all’efficientismo.
Questa dovrebbe essere la frontiera di una entità autonoma e distinta rispetto al sistema politico corrente. Ma se non è popolare e diffusa, e quindi pronta a confrontarsi con tutte le problematiche che una posizione tanto scomoda comporta, resterà solo una componente marginale in una contrapposizione tenuta in piedi solo da leggi elettorali verticistiche e inique. E’ probabile che la difficoltà a fare un tale autentico salto di qualità sia una delle vere cause dell’attuale condizione del Terzo Polo di questi giorni.
Giancarlo Infante