Il caso Sangiuliano continua ad evocare una riflessione sul “potere”. Sulle ragioni per cui affascina talmente da risultare, per molti, un’ attrazione fatale. E circa il differente impatto che ha con le differenti tipologie di soggetto umano.
In linea generale, si potrebbe dire che il potere…….ha un altissimo tasso alcolico. Infatti inebria. Spesso anche a dosi moderate. E come avviene in tutte le “ciucche” (termine dialettale lombardo) che si rispettano, provoca dapprima un picco di euforia, cui succede una fase di umore depresso, spesso accompagnato da una cefalea che persiste anche dopo il pieno ristabilirsi delle funzioni cerebrali superiori.
Anche le vertigini fanno parte del quadro. Ma è quel “picco” che incanta ed attrae. L’ubriaco vive, in certo senso, una doppia esperienza: per un verso, si estranea dal grigiore del mondo; per altro verso, il suo “io” illusoriamente si dilata fino a ricomprendere il mondo in sé per intero. Purtroppo, questa esperienza gratificante, quando è dovuta all’alcool svanisce presto e ci vorrebbe un modo che la induca per altra via, attraverso un percorso che, in un certo senso razionalizzandola, le permetta di permanere a lungo nel tempo. Il potere è un ottimo candidato a svolgere un tale ruolo.
Ma l’approccio al potere non è uguale per tutti e, per semplificare, si possono immaginare due ideal-tipi che, almeno parzialmente e in termini inevitabilmente un po’ astratti, rendono la differenza. Il soggetto strutturato, a suo modo compiuto, cosciente di sé, consapevole delle sue potenzialità, ma, del tutto serenamente, anche dei suoi limiti – in sostanza, chi abbia una forte e sicura personalità – tende a riversare attorno questa eccedenza di risorse umane e di vitalità. Concepisce istintivamente il potere in termini di naturale, spontanea autorevolezza. Non ha bisogno del surrogato dell’arroganza.
Succede che possa essere un leader quasi senza saperlo e senza darsene cura e se ne accorga solo quando sono gli altri a dirglielo. Non è a caccia della fatidica visibilità, anche se gli fa piacere avvertire come infonda sicurezza su chi gli sta vicino e notare come, attorno a lui, si crei un’area, più o meno ampia, di risonanza. Non ha bisogno di esibire il “potere”, sa usarlo con misura, per quanto non sia escluso che, pur volendolo esercitare in modo discreto e riservato, cada, invece, nella tentazione di farne un uso contorto, poco trasparente ed occulto. Non assume posture più o meno stentoree e plastiche, eroiche o formidabili e non ricerca immagini ad effetto. Non ama raccontare di sé e non coltiva il culto della personalità. Anzi, non apprezza gli adulatori e quando scivolano addirittura nel servilismo, ne ricava l’impressione negativa di un che di viscido ed untuoso. Eppure, beninteso, non è un santo.
All’altro estremo dell’ampio spettro della variabilità umana, stanno le personalità problematiche e malsicure, i soggetti deboli che, per forza di cose, si piegano su di sé e si fanno contorti. Si comportano un po’ come se volessero strappare brandelli dalle vite altrui per colmare il vuoto interiore che li minaccia. Sono condannati ad un presenzialismo faticoso e petulante perché intuiscono – secondo il famoso dilemma di Nanni Moretti – che se non ci sono nessuno lo nota. Sono costretti alle forche caudine della visibilità perché hanno bisogno di specchiarsi negli sguardi altrui e riconoscere se stessi solo nell’immagine di ritorno. Solitamente amano esibire lo scalpo di una preda, i trofei delle loro conquiste, per lo più femminili.
Ogni soggetto – nel nostro caso, vale anche per l’ex-Ministro – dovrebbe essere conosciuto personalmente perché, con qualche margine di attendibilità, possa essere ascritto all’una o all’altra delle polarità di cui sopra.