Putin ha imperiosamente offerto l’immagine della Russia che marcia compatta dietro di lui. E’ partito dalla Bibbia e dalle fondamenta cristiane del popolo russo. Come molti autocrati russi del passato, nei momenti di grave difficoltà, indimenticabile il richiamo alla Santa Madre Russia di Stalin per contrastare l’invasione nazista, anche Vladimir Putin ha richiamato a raccolta spendendo a piene mani il sentimento religioso.
Nel suo caso, non è stata la prima volta, visto che nel 2018 vi fece un riferimento in occasione dei 1130 anni dal battesimo del principe Vladimir il Grande nelle acque del Dnepr (CLICCA QUI). Fiume che dalla Russia, dopo aver tagliato Bielorussia e Ucraina, sfocia nel Mar Nero. Non lontano da quella Odessa che vive da giorni con la paura di fare la fine di altre città ucraine bombardate, in particolare la non lontana Mariupol nel cui centro cittadino sono appena entrate le truppe di Mosca che avrebbero raso al suolo quasi il 90% degli edifici di questa città portuale.
Padre Spadaro, il gesuita direttore della Civiltà cattolica, ha parlato di “blasfema retorica religiosa del potere” (CLICCA QUI). In più, parziale e distorcente. Perché gli ucraini sono anch’essi cristiani, sia pure recentemente scissionisti dalla Chiesa guidata da Mosca dal Patriarca Kirill. Gli ucraini, viene da ricordare, non erano chiamati “fratelli” fino al momento dell’invasione? Inoltre, se le notizie che circolano sono vere, c’è da chiedersi che razza di guerra “cristiana” sarebbe quella in cui la Russia si avvarrebbe delle milizie siriane messe a disposizione da Bashar al Assad (CLICCA QUI), oggi chiamato a ripagare il debito assunto con Putin al momento in cui il suo regime venne salvato proprio grazie all’intervento militare di Mosca.
Quello cui stiamo assistendo in questi giorni di guerra porta a considerare il fatto che un cristiano non dovrebbe mai dimenticare, oltre che il continuo messaggio evangelico contro la violenza, quel che dice Gesù a proposito dei bambini, così come riportato nel Vangelo di Matteo: “Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare”. Ebbene, i bambini di tutta l’Ucraina, e non solo della martoriata Mariupol, sono ben più che scandalizzati, visto la vita di terrore che stanno conducendo oramai da ben più che tre settimane.
Ma queste di Putin, ma non solo di lui, non sono le uniche contraddizioni di una sanguinosa guerra che sembra sempre più ingrovigliarsi in un miscuglio di questioni che vanno da quelle territoriali, a quelle della grande geopolitica mondiale, e a quelle di carattere religioso.
Da Kirill è venuto a Putin un fortissimo sostegno cosa che, come ha scritto Maurizio Cotti Piccinelli, fornisce l’immagine che della Russia di oggi: “protetta al suo interno da un’anima cristiana e all’esterno dalle armi nucleari”(CLICCA QUI). La risposta della Chiesa Ucraina non si è fatta attendere, con toni altrettanto fermi che hanno ricevuto un’attenzione particolare dal Jerusalem Post, che ha dato ad essa un rilievo mancato sul resto della stampa internazionale (CLICCA QUI). “Proteggerci non è peccato”, ha detto il Metropolita ucraino Epiphanius I, che lo scorso febbraio aveva parlato dello “spirito dell’anti-Cristo” che opera nel capo del Cremlino all’interno di un discorso estremamente deciso che ha portato il quotidiano di Gerusalemme a mettere in bocca al Metropolita l’affermazione che “uccidere i russi invasori non è peccare”.
Questi atteggiamenti spiegano la partecipazione al clima di scontro sollecitato anche da talune autorità religiose dei due paesi e devono essere colti in relazione alle caratteristiche delle chiese ortodosse che fanno dal carattere nazionale dei popoli che attorno ad esse si raccolgono una delle cifre importanti della loro sostanza identitaria.
Così, in entrambi i campi che si contendono tanto sanguinosamente le piane ucraine, l’elemento religioso divide invece che lavorare per il superamento del conflitto in qualche modo riproponendo taluni aspetti di uno scontro militare per certi versi simile che fu quello che portò alla frantumazione dell’allora Jugoslavia.
Il brandire il crocifisso come se fosse un’arma politica e militare è proprio di un nazionalismo estremo che finisce in contraddizione con quei sentimenti che dovrebbero essere coltivati sulla base di una salda fede cristiana la quale è, semmai, richiamo autentico alla fratellanza e alla solidarietà.
Alessandro Di Severo