Non sappiamo se le alte grida d’allarme lanciate da Italia viva sulla “scomparsa” di Giorgia Meloni siano da prendere con la drammaticità che meriterebbero. E neppure se possiamo dormire tranquilli sulla delicata vicende delle deleghe da lei lasciate o meno.
Avrà bisogno di un supplemento di riposo. Dovrà meditare in solitudine sul periodo “horribilis” che sta vivendo, avrebbe potuto dire la Regina Elisabetta pensando al suo 1992. Come in quel caso, infatti, questioni istituzionali, diciamo pure nel caso nostro, politiche che non hanno portato a molti risultati, s’intramezzano e s’ingarbugliano con quelle personali e familiari.
Con la cosiddetta Seconda Repubblica ci siamo trovati di fronte ad un fenomeno del tutto sconosciuto nella Prima. E cioè quell’inframettersi nella vita pubblica di quella privata.
Il fenomeno nacque, come se fosse una cosa normale, con l’arrivo sulla scena di quel funanbolico e poliedrico personaggio che portava il nome di Silvio Berlusconi. Ancora oggi, al trentennio della sua “discesa in campo”, la commistione tra politica e fatti personali è tuttora viva e palpabile.
In questi tre decenni abbiamo assistito al leaderismo, alla personalizzazione della politica e alla scelta dei “fedeli” del Capo. Tutto reso più incandescente dall’irrompere dei social capaci d’innescare ancora di più, e per taluni offrendo il peggio, una politica- spettacolo all’americana che coinvolge istanze e pensiero politico con questioni personali e familiari in una maniera senza pari con il passato. In taluni casi, abbiamo visto come la politica diventi “gossip” e come il pettegolezzo, questo “gossip” significa, è sempre più parte della politica. Un gioco perverso che, se non valutato e gestito in modo discreto, opportuno ed intelligente, non può poi essere risolto con lo sdegno di vedere mischiare affetti e questioni pubbliche. Si potrebbe dire che chi è causa del suo male pianga se stesso, ma sarebbe questo aggiungere insensibilità a quella crudeltà di cui sono perfidamente capaci un po’ tutti gli essere umani, ma taluni politici e giornalisti in modo particolare.
E così abbiamo seguito quasi in diretta la separazione della Presidente del consiglio dal marito e, poi, toccato con mano le conseguenze della nomina dei propri familiari nel Governo e nel partito. Cose inimmaginabili per chi ha superato i quaranta ed ha vissuto altre esperienze.
In questi giorni ha tenuto banco la querelle surreale sulla possibilità che Arianna Meloni possa finire indagata per traffico d’influenze. A lei si farebbero risalire molte disposizioni sui vertici, e quadri inferiori, da definire nelle aziende pubbliche. Cioè quello che fanno, se possono, stando al governo, i dirigenti apicali di tutti i partiti. Noi italiani siamo maestri nel lamentarci dello “spoil sistem”, mentre non vediamo l’ora di praticarlo.
Subito dopo, la sorella della Presidente del consiglio è stata oggetto dell’attenzione di alcuni giornali per il finanziamento assicurato a due organizzazioni di estrema destra da parte della Fondazione di Alleanza nazionale in cui la Meloni di minore di età ha importanti responsabilità.
Per rendere più piccante l’intero contesto giunge la sua intervista a Il Foglio che dirotta l’attenzione su di un fatto davvero personale, ma che ha un suo peso pure d’altro genere, e cioè la separazione dal marito, il Ministro dell’agricoltura Lollobrigida. Ne prendiamo atto. Siamo comunque rassicurati: il loro progetto politico va avanti, anche se l’amore è un’altra cosa, come ha detto ai giornali Arianna Meloni.
Tutto ciò premesso, viene spontaneo chiedersi: ma se si tornasse al vecchio sistema per cui “in politica, uno in famiglia è sufficiente” non farebbe bene a tutti, a partire dai diretti interessati?