“Spesso viene fornita una narrazione semplice e facile per spiegare il nostro momento presente: una nuova Guerra Fredda, ci viene detto, sta sorgendo tra gli Stati Uniti e la Cina, completa di una “battaglia ideologica globale tra democrazia e autocrazia”. Il futuro della “governance” globale sarà determinato dal vincitore, cioè, a meno che una guerra calda non risolva la questione in anticipo con una cataclismica lotta all’ultimo sangue, proprio come una volta la democrazia liberale ha combattuto contro il fascismo”.

Così inizia una riflessione di N.S. Lyons che da tempo studia i principali fenomeni del nostro tempo, e in particolare ciò che coinvolgendo  le principali potenze mondiali di oggi finiscono per fare interrogare sul futuro del mondo. E la necessità di analizzare coincidenze e diversità è sollecitata anche da taluni fatti dei nostri giorni. Come quelli, ad esempio, stanno richiamando l’attenzione del mondo intero, e ce lo ricorda per noi Guido Puccio (CLICCA QUI), a proposito dell’ennesima bolla, finanziaria o immobiliare che sia, finita male per il colosso, questa volta cinese, della Evergrande.

Lyons parte dal concetto corrente sul fatto che “una competizione geopolitica sta davvero sfociando in un confronto aperto”. Cosa che lui giudica superficiale e fuorviante perché, questa è la sua tesi di partenza, ” quando si tratta delle questioni politiche più fondamentali, Cina e Stati Uniti non stanno divergendo, ma stanno diventando più simili”. Saremmo di fronte, insomma, ad una convergenza delle due superpotenze che convergono sullo stesso sistema. Quello che lo studioso definisce, ancorché non ancora pienamente realizzato, di “governance” tecnocratico-manageriale.

Il riferimento storico culturale di Lyons  è quello descritto da James Burnham e da George Orwell che parlarono di “managerialismo”, in quanto prodotto di una nuova classe di manager professionisti “legati insieme da un interesse personale condiviso per l’espansione delle organizzazioni tecniche e di massa” ed è “l’ulteriore proliferazione dei manager a trascinare la società nell’abbraccio intrigante delle competenze manageriali”. Al suo centro del concetto del “managerialismo”, chiarisce Lyons, “c’è la convinzione che tutte le cose – anche la complessità della società e l’uomo stesso – possono essere comprese, gestite e controllate come una macchina, con una tecnica scientifica sufficiente”.

Sarebbe stato il “managerialismo” ad emergere come il vero vincitore delle battaglie ideologiche del XX secolo, sugellando la previsione di Orwell secondo la quale se il capitalismo stava scomparendo, il socialismo non lo stava sostituendo. E così, sorga un nuovo tipo di società “pianificata e centralizzata che non sarà né capitalista né, in nessun senso accettato del termine, democratica”.  Lyons sostiene che la Cina è solo un po’ più avanti nel percorso verso questo comune futuro totalitario e che l’Occidente sta seguendo.

Lyon ricorda l’esaltazione di Mao Zedong per l’esperienza della città di Fengqiao dove, a differenza di quel che accadeva nel resto della Cina comunista, dove negli anni sessanta e settanta si pensava a combattere i cosiddetti “elementi reazionari”, la gente se la cavava da sola. Lyons ricorda come in quella esperienza, il Grande Timoniere vedeva  un vero esempio della “dittatura delle masse” che Mao sperava di instaurare. E sarebbe stato, dunque, lo stesso capo comunista cinese a piantare “un seme che avrebbe messo radici nel duro terreno dell’immaginazione del Partito Comunista Cinese: il sogno di una popolazione così profondamente condizionata dal socialismo cinese che un giorno si sarebbe praticamente autogestita”.

Xi, a suo avviso, avrebbe solo rivitalizzato e modernizzato questa idea in relazione ai nuovi strumenti disponibili: quelli della rivoluzione digitale. “I metodi tradizionali di monitoraggio e controllo sociale di massa in stile Fengqiao, dice Lyons,  noti anche come “governo sociale”, sono stati combinati con la mobilitazione su Internet e un vasto apparato di sorveglianza digitale. Per poi proseguire: “Il fiore all’occhiello di questo approccio dovrebbe essere il fiorente sistema di credito sociale cinese. Il sistema intende assegnare a ciascuna persona, azienda o organizzazione un punteggio univoco aggregato di “credito sociale”. Questo è molto simile a un punteggio di credito finanziario: in base al comportamento osservato, e ad altri “fattori di rischio”, il punteggio può essere regolato verso l’alto o verso il basso per designare un individuo o un’azienda come più o meno “affidabile” o “inaffidabile”. Quelli con punteggi più alti vengono premiati con vantaggi crescenti, come l’accesso prioritario a viaggi, prestiti, alloggio, istruzione superiore o persino assistenza sanitaria. Quelli con punteggi più bassi affrontano punizioni crescenti, come la perdita dell’accesso al sistema finanziario, il divieto di acquistare beni di lusso o immobili o il divieto di ammissione dei propri figli a determinate scuole e università.

È importante sottolineare che il sistema è deliberatamente di natura sociale. Quelli con punteggi bassi sono elencati pubblicamente e svergognati online o su cartelloni pubblici; anche alcune app di appuntamenti hanno sperimentato l’incorporazione di punteggi di credito sociale. La cosa più significativa è che, poiché avere troppe relazioni con persone con punteggi bassi rischia di abbassare il proprio ranking, le persone evitano del tutto di associarsi con gli “screditati”, accelerando la loro progressiva spersonalizzazione da parte della società. L’obiettivo di questa ludicizzazione della mente è creare un “Uomo Nuovo” che si inserisca nella sua macchina manageriale; questo è sempre e ovunque l’inesorabile oggetto dell’ossessione di controllo del managerialismo”.

In questo Lyons trova molte stringenti similitudini con le visioni dei gruppi dirigenti dell’Occidente, anch’essi convinti di “avere ora gli strumenti e la libertà di movimento per iniziare a implementare  un sistema di credito sociale in stile cinese”.  C’è insomma una condivisione delle stesse caratteristiche fondamentali del modello cinese: “utilizzare il coordinamento pubblico-privato e la “governance sociale” per far crollare ogni distinzione tra vita pubblica e privata, aumentando così notevolmente i rischi di non conformità pubblica e di dissenso dalla narrativa preminente. L’utopia è senza dubbio dietro l’angolo”.

Lyons specifica: “In effetti, possiamo vedere passi trasparenti verso la costruzione di qualcosa di simile a un sistema di credito sociale nell’uso ormai diffuso di innovazioni come i punteggi ESG (ambientali, sociali e di governance). Le principali istituzioni finanziarie li esercitano per conformarsi apertamente a specifiche pratiche sociali e ideologiche richieste per accedere al capitale. Simili schemi di punteggio guidati da ONG come il Corporate Equality Index e il programma Diversity Champions con sede nel Regno Unito minacciano anche quelle aziende che non si conformano al ricatto e alla de-piattaforma del “rischio reputazionale.

Mentre il potente regno dei flussi finanziari è l’obiettivo di oggi, aggiunge Lyons, non c’è motivo di pensare che, sulla traiettoria attuale, le stesse dinamiche non saranno eventualmente applicate a tutti gli altri settori della nostra economia e società. Non dovremmo sorprenderci se un giorno gli affitti degli appartamenti arriveranno a preveder con clausole di moralità ideologica, le compagnie aeree si uniranno per vietare ai clienti con convinzioni sbagliate di viaggiare o le persone si ritroveranno private delle loro polizze assicurative per aver parlato a sproposito online. Questo sarà semplicemente il comportamento di un managerialismo indurito che cerca stabilità attraverso il controllo meccanicistico su tutti i dettagli della vita”.

Nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale e, in particolare, le valute digitali della banca centrale (CBDC) continueranno solo a rendere più facile questo tipo di controllo granulare, questa la conclusione di Lyons facendo riferimento al caso di un americano escluso dalla sua “casa intelligente”, controllata digitalmente da Amazon, dopo che un fattorino l’ha accusato di aver detto qualcosa di razzista. Perché Amazon dovrebbe preoccuparsi di farlo?, si chiede Lyons, perché può. “E così, sotto un regime manageriale, devono. Poiché i nostri manager scoprono che ogni giorno è sempre più facile “risolvere” le questioni poste dalle persone considerate problematiche con il clic di un pulsante, e non saranno in grado di resistere alla tentazione di premere quel pulsante, con forza e spesso”.

Ricordando il convincimento di C.S. Lewis, secondo cui ogni nuovo potere conquistato dall’uomo è anche un potere sull’uomo, Lyons sottolinea come  i grandi superstati lottino per il possesso della terra per dire: “nonostante tutte le speculazioni passate secondo cui il 21° secolo sarebbe stato definito da uno “scontro di civiltà”, ora c’è solo una forma soffocante di civiltà moderna che si è estesa sulla faccia del globo, con molteplici personalità in lizza per la supremazia imperiale. In Occidente, il managerialismo progressista ha dolcemente strangolato a morte la democrazia in un secolo di manipolazione, l’ha svuotata e ora ne consuma la pelle. In Oriente, il virus importato del managerialismo comunista ha spazzato via una civiltà un tempo grande in un fiume di sangue, poi cristallizzato nella fredda e dura macchina che ora governa le terre della Cina.

La conclusione è per Lyons che questa costituisca la verità alla base del motivo per cui la Cina e l’Occidente, “nonostante tutte le loro proclamate differenze, condividono la stessa arroganza manageriale, siano tentati dagli stessi crescenti poteri tecnologici e stiano proteggendo le stesse insicurezze e delusioni dell’élite. Anche se si agitano e si scontrano, stanno convergendo verso lo stesso destino: la stessa sottomissione socialmente ingegnerizzata di tutto ciò che è umano, reale e libero al nichilismo tecnocratico e alla falsa realtà di una macchina-governo onnicomprensiva  e a un tecno-stato totale”.

 

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