Ogni volta che sento parlare di Patria, Patriottismo o Nuovi Patrioti, il mio ricordo va a Padre Robert White. Un gesuita americano che dal 1993 al 1996 fu mio Professore di Teoria dell’Audience, nel Corso di Scienze della Comunicazione Sociale alla Pontificia Università Gregoriana. Durante le sue lezioni, ci raccontava spesso un episodio per spiegarci, con molta semplicità, il concetto di “Verità culturale”.
Verso la fine dell’Ottocento, in un’omelia pronunciata durante la notte di Natale, l’Arcivescovo di New York, parlando sul tema della segregazione razziale e dei milioni di neri sparsi nelle grandi piantagioni americane, disse queste testuali parole: “ La schiavitù in America è una benedizione di Dio”. Dopo oltre un secolo, a seguito delle tante battaglie condotte soprattutto da Martin Luther King contro il razzismo e la segregazione razziale, un altro Arcivescovo di New York, sempre nella stessa cattedrale, durante la messa, si soffermò a lungo sulla schiavitù, per criticarla su tutti i fronti, per farla a pezzi, per poi definirla “Una maledizione di Dio”
In poche parole, “la Verità culturale” che si era affermata sulla schiavitù in America all’inizio dell’Ottocento, dopo un secolo e mezzo di storia, assunse un significato diametralmente opposto. E tutto questo in virtù delle lotte civili contro il razzismo e la segregazione razziale dei neri, capeggiati da Martin Luther King. Ma se il concetto di Schiavitù è così profondamente modificato nel corso della Storia, noi europei, possiamo dire altrettanto dei termini tanto usati e abusati come Patria, Patrioti e Patriottismo? A mio parere, il destino di queste due “verità culturali” si somiglia eccome, perché la costruzione di questi significati ha risentito di due contesti storici molto travagliati.
La Verità culturale non è la verità storica, né quella giudiziaria, religiosa o filosofica. E’ tutta un’altra cosa. E’ una costruzione di significati che si affermano in un dato periodo storico. Si riferisce alle convinzioni, ai valori e alle interpretazioni della realtà condivise da gruppi sociali. Questa verità è costruita socialmente e riflette le narrazioni, le tradizioni e le pratiche culturali di tante singole comunità.
Lo stesso ragionamento che abbiamo svolto per la parola Schiavitù, potremmo applicarlo al Patriottismo. Il patriottismo, vale a dire l’amore per la propria Patria, è un sentimento complesso e variegato. Nel corso delle varie civiltà ha assunto significati diversi e, in alcuni casi, anche opposti. Senza voler richiamare, per evidenti ragioni di spazio, i vari significati assunti da questa parola nelle varie civiltà indoeuropee, soffermiamoci un attimo sulla nostra Storia contemporanea e in particolare sul Novecento. E’ proprio durante il secolo scorso che i termini “patria”, “patriottismo” e “patrioti” hanno subito una profonda evoluzione semantica, influenzata da eventi storici, cambiamenti sociali e ideologici.
Gli orrori delle due Guerre mondiali hanno messo in discussione il concetto di “patria” come sinonimo di unità e armonia. Il patriottismo è stato spesso strumentalizzato per giustificare conflitti sanguinosi. I regimi totalitari come il nazismo e il fascismo hanno manipolato queste parole per fomentare l’odio e la violenza contro altri popoli, creando un senso di superiorità nazionale e giustificando azioni aggressive. La globalizzazione e il multiculturalismo, infine, hanno aumentato i contatti tra culture, promosso una crescente mobilità delle persone, sfumato i confini nazionali, portando a una ridefinizione del concetto di patriottismo più inclusivo e cosmopolita.
E in tutto questo, noi italiani come dovremmo porci dinnanzi a questi mutati e complessi scenari geopolitici? Dovremmo assecondare i vari Orban, i Vannacci, i Farage e tutti questi pittoreschi nuovi patrioti alla Salvini? Qualche veggente del secolo scorso avrebbe detto che “sono capaci di tutto e buoni a nulla” E, infatti, remano contro l’Europa. Strizzano l’occhio a Putin. Invocano la rielezione di Trump. Ma non possono tirare troppo la corda, perchè a tutto c’è un limite. Anche nella tollerante e democratica Europa è molto complicato restare in paradiso a dispetto dei santi.
Per tornare ai fatti di casa nostra, tutta questa caricatura del patriottismo potrebbe danneggiare gli interessi dell’Italia e la sua reputazione in Europa e nel Mondo.
Non parliamo poi di questa retorica xenofoba e razzista che strombazzano nei loro discorsi. Come capita sempre più spesso ai demagoghi e ai politicanti, hanno sottovalutato l’impatto che questa “narrazione” può provocare nella società italiana ed europea. Il loro linguaggio può alimentare tensioni sociali interne e danneggiare la reputazione dell’Italia come paese accogliente e aperto. C’è di più. Questa retorica potrebbe influenzare negativamente anche le relazioni diplomatiche con i paesi di origine dei migranti e con altri stati membri dell’UE che promuovono politiche più inclusive. Non sottovalutiamo poi i riflessi che questi movimenti potrebbero provocare sull’economia italiana e sui mercati finanziari europei.
Le posizioni euroscettiche possono creare incertezza economica. La minaccia di uscire dall’Europa, o di non rispettare le regole di bilancio dell’Unione europea, può causare volatilità nei mercati finanziari e ridurre la fiducia degli investitori, danneggiando l’economia italiana.
Sul fronte della politica estera e delle alleanze, il nazionalismo sovranista può portare a un allontanamento da relazioni storiche e a un avvicinamento a stati non allineati con i valori e le politiche dell’Unione Europea, come ad esempio la Russia. Questo potrebbe isolare ulteriormente l’Italia e complicare la sua posizione all’interno delle istituzioni internazionali.
Un’ultima considerazione che mi sento di fare riguarda l’immagine e la reputazione internazionale del nostro Paese. La crescita dei movimenti sovranisti è spesso accompagnata da una retorica populista che può essere percepita come divisiva e anti-democratica. Il nostro patriottismo, condiviso dalla stragrande maggioranza degli italiani, è di tutt’altra pasta. Dopo settant’anni di pace, prosperità e benessere, anche i nostri figli incominciano a preoccuparsi seriamente del loro futuro. Sono nati in Italia, certo! Ma, come tutti quelli che hanno scelto di costruirsi un futuro in altri paesi, anche i nostri giovani si identificano sempre più in un’altra Patria. E’ la comune Patria europea che ha già offerto lavoro, gratificazioni e benessere a milioni di giovani, rifugiati e famiglie che non avevano più un futuro nelle loro piccole realtà nazionali.
Michele Rutigliano