Quando i nostri Padri costituenti indicarono nella disciplina e nell’onore i tratti distintivi del servizio da rendere allo Stato, non avrebbero mai immaginato il livello di degenerazione che quel nobile intento avrebbe raggiunto.
Nella prima, ma ancor più in questa seconda Repubblica, una nutrita schiera di politicanti, equamente distribuiti tra centrodestra e centrosinistra, sta facendo di tutto per mortificare quelle “virtù civili” messe così bene in risalto dall’articolo 54 della nostra Costituzione.
Sulla corruzione si è letto e scritto già tanto. Invece, sul “Trasformismo” che sta corrompendo e screditando la politica a tutti i livelli, non si è scritto ancora abbastanza. Dice un vecchio proverbio che “basta una sola goccia d’inchiostro a intorbidare un intero secchio d’acqua”. E pensare che il trasformismo, introdotto da Agostino De Pretis, come pratica parlamentare per rendere stabili le maggioranze di governo, non ebbe affatto la connotazione negativa che ha assunto in questi ultimi anni. Nella Prima Repubblica, infatti, i partiti esercitavano diverse funzioni: innanzitutto selezionavano la classe dirigente, poi la formavano con le loro scuole e, solo al termine di quel percorso, candidavano i più affidabili oltre che i più preparati alle varie cariche pubbliche.
Tanto per capirci, tutti questi premi Nobel del populismo e dell’anti-politica, come Beppe Grillo, Cateno De Luca o Stefano Bandecchi, non avrebbero fatto nemmeno “le pulizie” nei vecchi partiti politici. Nella Dc, così come nel Pci, nel Psi o nei partiti minori, ma con una lunga storia alle spalle come i repubblicani, i socialdemocratici o i liberali, questi signori sarebbero stati presi a calci nel sedere.
Ricordiamo quello che scrisse Giosuè Carducci nel lontano 1883: “Trasformismo brutta parola a cosa più brutta. Trasformarsi da sinistri a destri senza però diventare destri e non però rimanendo sinistri”. Agostino De Pretis, però, detto a sua discolpa, non meritava questa reprimenda. Da uomo di Stato doveva far prevalere la realpolitik. E quindi, allorché si trattò di garantire stabilità e durata al suo Ministero, lui, uomo della sinistra storica, aprì alla destra. Non si sentiva affatto un traditore della sinistra. Quando, in Parlamento, accettò i voti di alcuni deputati di destra, si giustificò con queste parole: “Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?”. Il superiore interesse alla stabilità politica suggerì a De Pretis questa operazione che non era dettata da una sua personale volontà di potere ma, al contrario, si giustificava nel superiore interesse della neonata nazione italiana.
Lo scopo era nobile: contrastare, con una solida maggioranza centrista, i pericoli, ancora timidamente avvertiti dallo Stato liberale, che rappresentavano le forze repubblicane, socialiste e cattoliche. Oggi, Il trasformismo nella pubblica percezione è diventato sinonimo di politica senza idee, né principi. E’ un territorio in cui possono circolare indisturbati fannulloni e demagoghi, cialtroni e svalvolati. Tutte mezze cartucce che alimentano, pur senza rendersene conto, una mentalità e un costume mafiosi tipici della criminalità organizzata. Anche nella Prima Repubblica vi erano cambi di casacca. Ma, nella stragrande maggioranza dei casi, questi passaggi avvenivano tra le correnti dello stesso partito.
La creazione di partiti personali, un fenomeno che si è manifestato soprattutto con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, ha fatto il resto. Il partito padronale ha ulteriormente indebolito nel singolo parlamentare il senso di appartenenza ad una cultura politica, ad una tradizione storica o ad un sistema di valori. Elementi che ispiravano grandi ideali e solidi progetti politici.
Purtroppo, le ultime vicende che hanno coinvolto amministratori e politici della Puglia, del Piemonte e della Sicilia hanno ulteriormente alimentato quelle pulsioni populiste e giustizialiste che hanno intossicato, da un po’ di anni a questa parte, non solo la politica italiana ma più in generale la credibilità del nostro sistema-paese.
L’ultimo sondaggio Ipsos , pubblicato sabato scorso 20 Aprile sul Corriere della Sera, conferma un dato agghiacciante. E cioè che il primo partito italiano è quello degli indecisi e degli astenuti, con una consistenza che oscilla intorno al 50 %. Una maggioranza non solo silenziosa ma anche molto indignata e sempre più sfiduciata. Quel tasso endemico di corruzione, presente non solo nel ceto politico ma anche nella società italiana, non sembra più un motivo di scandalo. Lo è diventato, invece il trasformismo. Quello dei tanti voltagabbana, percepito più come conseguenza che come causa del malfunzionamento del sistema. E, sempre a questo proposito, vediamo cosa è successo nelle due ultime legislature. Nella XVII, i passaggi da un gruppo all’altro, sono stati ben 566, 313 alla Camera e 253 al Senato. Una “transumanza” che ha coinvolto 347 parlamentari, il 36,53 degli eletti. Nella XVII legislatura, invece, i parlamentari che hanno cambiato gruppo almeno 3 volte sono stati 48. Nella XVIII legislatura, infine, sono stati 160 i passaggi da un gruppo ad un altro.
E in questa legislatura cosa succederà? Se, come dicono i sondaggi, la Lega collasserà alle Europee, allora potrebbe succedere di tutto. I peones del Carroccio, non sentendosi più garantiti dal “Capitano” potrebbero chiedere asilo politico agli altri due gruppi della maggioranza e cioè al partito del Presidente del Consiglio o a quello del Ministro degli Esteri. Per farla breve, il trasformismo nella nostra storia parlamentare ha cambiato pelle. Con De Pretis, l’intento era nobile. Nella Prima Repubblica i parlamentari che si sentivano a disagio non cambiavano casacca ma corrente, però sempre all’interno dello stesso partito. Nella Seconda Repubblica, invece, la transumanza da un gruppo all’altro non ha nessuna giustificazione politica, nè ideologica, né morale. L’unica motivazione che spinge questi signori a “trasformarsi” è molto meno nobile e sempre più prosaica. Lo fanno per un proprio tornaconto personale e al solo scopo di garantirsi un seggio in Parlamento, con tutti i “commoda possessionis” che questo comporta. Tutto ciò premesso, non ci resta che porci una semplice domanda: Cosa si può fare per prevenire il trasformismo nella politica italiana?
Diciamo subito che il dibattito sulla necessità di riforme per migliorare la trasparenza e l’integrità del nostro sistema politico è un tema ricorrente. Le discussioni tendono a concentrarsi su aspetti come il rafforzamento delle leggi anti-corruzione, sulla riforma del sistema elettorale o sulla promozione di una maggiore responsabilità dei politici nei confronti dei cittadini. In generale, le riforme che potrebbero avere un impatto sul trasformismo sono quelle sulla trasparenza e sul conflitto di interessi. Se diventassero leggi dello Stato, potrebbero non solo scoraggiare ma addirittura impedire che i parlamentari, i consiglieri regionali e comunali possano cambiare schieramento con la stessa disinvoltura con cui si può cambiare una camicia. Alcuni paesi hanno introdotto regole che limitano la capacità dei parlamentari di cambiare partito durante un mandato. Noi italiani, comunque, non dovremmo mai dimenticare che il trasformismo, così come il clientelismo e la corruzione, si alimentano soprattutto per una grave mancanza di cultura civica e per scarso rispetto delle regole. Le leggi, da sole, non cambiano il mondo. Anzi, per dirla con quel grande storico, oratore e senatore romano, Publio Cornelio Tacito: “Quante più leggi ha uno Stato, tanto più esso è corrotto”.
Michele Rutigliano