Un grande paradosso, anzi un vero e proprio contrappasso dantesco, sta aleggiando sempre più sul referendum costituzionale di domenica 20 e lunedì 21 settembre sul cosiddetto taglio dei parlamenti. Ebbene, i veri riformatori sono quelli del NO. Un vero e proprio rovesciamento di posizione rispetto a 12 mesi fa quando il referendum è stato lanciato: a favore del SI quanti volevano finalmente smuovere una Costituzione rigida e impolverata, quanti volevano tagliare quelle poltrone che pesano sulle spalle degli italiani, quanti volevano presentarsi come i paladini di una nuova forma di democrazia dove i parlamentari, pochi o tanti, sono praticamente inutili. A conferma di tutto ciò le sprezzanti parole di Luigi Di Maio, ministro degli esteri, rilanciate dai media venerdì 18 settembre: “Tagliamo questi parlamentari e risparmiamo un po’ di soldi”.
Al signor ministro, senza tono polemico, si potrebbe replicare che abolendo del tutto i parlamentari si risparmierebbe ancora di più. Il signor ministro, senza dubbio uno dei leader dei Cinquestelle, senza dubbio aspirante Capitano, si è dimenticato di prendere le distanze dagli europarlamentari del suo stesso non-partito che si sono astenuti sulla condanna espressa dall’Europa sull’avvelenamento di Alexei Navalny, il principale oppositore di Putin. In tale occasione di grillini europei si sono trovati schierati insieme a Fratelli d’Italia. Il signor ministro non ha spiegato se quella è la linea del non-partito o se si tratta di ribelli. Per molto meno in altre circostanze i ribelli sono stati espulsi. L’altro Capitano, che più decisamente porta avanti il SI al taglio dei parlamentari, ha spinto il proprio partito, la Lega, sempre al parlamento europeo, sempre nella stessa giornata di giovedì 17 settembre, ad astenersi sulla mozione di condanna del presidente bielorusso Alexader Lukashenko, non riconoscendo la validità delle elezioni.
Questi sono i leader e i rispettivi partiti, compreso Fratelli d’Italia, che vorrebbero mettere mano alla Costituzione. Che sostengono il SI perché finalmente (dicono) si potrà procedere con le riforme istituzionali bloccate da decenni. Se, come e quando le riforme arriveranno non si sa, intanto a loro va bene il taglio dei parlamentari non per tagliare i costi a carico del bilancio statale, che tutti gli specialisti definiscono irrisorio, mentre i realisti ritengono tutto da dimostrare, ma per avere meno intralci nella loro leadership sempre più monocratica. Chi sostiene il SI lo fa con l’arroganza di chi crede di avere in tasca la verità; di chi vorrebbe dividere il mondo in buoni (loro) e in cattivi (quelli che non la pensano come loro); di chi si sente investito di una volontà popolare soltanto per mascherare il potere di ristrette élites.
Al contrario, chi sostiene il NO non fa una battaglia ideologica o pregiudiziale. Anzi riconosce che una riduzione dei parlamentari non è la fine del mondo. Nello stesso tempo giudica pericoloso per il futuro della democrazia mettere mano alla Costituzione picconando di qua o di là. Chi motiva il proprio NO chiede con maggior convinzione e determinazione che si arrivi ad aggiornare alcuni passi della Costituzione (come il bicameralismo perfetto) che sono ormai superati dalla storia. Tuttavia chi vota NO esprime totale sfiducia in questa classe politica, alla quale si chiede di non mettere mano alla Costituzione semplicemente perché non fa per loro. Non è giusto fare di tutto un’erba un fascio, ci sono personalità di rilievo in Parlamento, ma la qualità media della classe politica, in particolare dei leader, non è minimamente confrontabile con quella che 73 anni fa ha scritto la Carta costituzionale.
Significativo quanto scrive Guido Crainz su Repubblica: «Siamo in molti a orientarci per il NO, ma con molte domande. Un NO per scongiurare ulteriori scompensi e distorsioni (inevitabili se un taglio drastico dei parlamentari non è inserito in una riforma vera) ma con la convinzione di fondo che il nodo sullo sfondo, ovvero il buon andamento della democrazia, vada seriamente e urgentemente affrontato. Ed è sul come affrontarlo che le domande si addensano: con la malinconica sensazione che manchino gli attori politici capaci di avanzare proposte all’altezza del problema”. Ecco il contrappasso dantesco: il NO non è un lasciare le cose come sono, anzi proprio chi si rifugia nel NO ha maggiore consapevolezza dell’urgenza di avviare un processo riformatore, ma deve rassegnarsi ad attendere tempi migliori, quando ci sarà una classe politica all’altezza del compito o quando nascerà un movimento popolare capace di scuotere partiti e Palazzo.
Ma la vera spallata allo schieramento del SI arriva dalla senatrice a vita Liliana Segre, in un’intervista rilasciata a Repubblica venerdì 18 settembre. Alla domanda che se ha deciso che cosa votare al referendum, dall’alto della sua saggezza risponde: «Mi pare che la questione venga un po’ troppo drammatizzata. Ci sono buone ragioni sia per il SI, sia per il NO. Alla fine mi sono orientata per il NO soprattutto in coerenza con il mio atteggiamento generale verso il Parlamento. Sono entrata al Senato in punta di piedi, onorata e sorpresa della scelta del presidente Mattarella che, come ho sottolineato più volte, ha un profondo valore simbolico e trascende la mia persona. Sono entrata come si entra in un tempio perché il Parlamento è l’espressione più alta della democrazia. Quindi sentir parlare di questa istituzione che fa parte della mia religione civile come se tutto si riducesse a costi e poltrone, è qualcosa che proprio non mi appartiene”.
Verrebbe da chiedersi se quanti tra quei 945 parlamenti che ogni mattina, o quasi, mettono piede a Palazzo Montecitorio o a Palazzo Madama hanno la consapevolezza di entrare nel tempio della democrazia. Ben pochi, sicuramente. Ma almeno non toccate l’argenteria. Verranno tempi migliori per procedere con la manutenzione del Palazzo. Il NO va in questo senso: per riconosciuta incapacità degli inquilini.
Luigi Ingegneri