Siamo dentro la quarta rivoluzione industriale. Molti dei paradigmi che regolavano il mercato del lavoro stanno cambiando o sono già cambiati. Basta pensare, per fare un esempio, alle forme d’impiego sorte negli ultimi anni come quelle legate alla cosiddetta Gig economy. “Il termine “Gig” viene dalla musica Jazz, dove era usato fin dall’inizio del Novecento per indicare l’ingaggio per una serata, forse come contrazione della parola “engagement”. Dal Jazz l’uso si è allargato a tutto il mondo della musica, sempre con lo stesso significato, per poi passare a indicare ogni ingaggio saltuario. Nel 2015 è entrato nell’uso nei media dopo essere stato utilizzato durante la propria campagna elettorale da Hillary Clinton, che l’aveva definita anche come “economia a richiesta” e aveva posto il problema della tutela dei lavoratori”[1].

Oppure, si può pensare allo Smart working o “lavoro agile” (Legge n. 81/2017), il quale rappresenta una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro[2].

Ciò ha portato a riformulare anche i processi organizzativi che riguardano il lavoro, così come le competenze e le conoscenze necessarie per poter essere pronti ad una realtà in continua evoluzione.

In questo contesto occorre perciò ridare “valore” al significato del “lavoro”.

La Dottrina sociale della Chiesa offre una valida e sempre attuale guida per ricentrare la rotta.

Il lavoro è partecipazione allo sviluppo dei popoli (Populorum Progressio, Papa Paolo VI).

Il fine ultimo è rendere migliori noi stessi (Laborem Exercens, Papa Giovanni Paolo II).

E’ lo sviluppo di colui, che mi sta accanto; quindi è legato al concetto del prendersi cura del prossimo (Sollicitudo Rei Socialis, Papa Giovanni Paolo II).

Dobbiamo tornare a una visione più etica delle attività e dei rapporti umani, senza il timore di perdere qualcosa (Caritas in Veritate, Papa Benedetto XVI).

Dobbiamo far sì che attraverso il lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprima ed accresca la dignità della propria vita (Evangelii gaudium, Papa Francesco).

Dunque, capire cosa fare per cercare un lavoro, magari quello più adatto alle proprie attitudini e studi. Sapere a chi rivolgersi: centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, contattare direttamente le aziende o rispondere agli annunci è fondamentale. Tutte dinamiche, queste, in continuo cambiamento che chiedono di essere comunicate perché i cittadini siano informati con puntualità e chiarezza.

In questo campo, esperienze di trasmissioni televisive e radiofoniche, canali web o edizioni in carta stampata, ci sono state ed esistono tutt’ora.

Un punto di partenza significativo per riprendere le fila del discorso sul tema dell’informazione dedicata al lavoro può essere l’approvazione della legge n.196 del 1997 o “Pacchetto Treu” dal nome dell’allora ministro del lavoro, Tiziano Treu.

Si è trattato di una stagione che ha visto protagonista la Rai con cinque trasmissioni: tre televisive, Articolo1 e Okkupati di Rai Tre, LavorOra di Rai Due e due radiofoniche, Tam Tam Lavoro di Radio Uno e Che lavoro fai di Radio Due. Accanto a queste, negli anni le iniziative degli altri media: Giovani Leoni su Radio24, Spazio lavoro su RTL 102.5, Corriere lavoro (Corriere della Sera), il settimanale Lavorare, diffuso nel Lazio e con lo stesso format in Umbria, Calabria, Sardegna, Io lavoro (Italia Oggi), la sezione on line sul lavoro e il blog Lavori in corso (La Stampa), il blog La nuvola del lavoro (Corriere della Sera), Job24 (Il Sole 24Ore), èLavoro (Avvenire), miojob (La Repubblica), il canale Lab Italia (AdnKronos), Repubblica degli Stagisti di Eleonora Voltolina, Benedetta economia! di Tv2000 e Il posto giusto di Rai Tre.

E’ un elenco consistente, probabilmente parziale, composto d’alcune realtà ancora vive o nuove ed attente a spiegare il mercato del lavoro e da altre che rappresentano un’esperienza chiusa.

In questo particolare momento storico occorrerebbe, come accaduto in passato, pensare ad avviare una strategia ampia ed organica, capace di raccontare questi cambiamenti epocali con lo sguardo dell’oggi, ma con una visione che intercetti il futuro.

Questa funzione possono certamente svolgerla i mezzi di comunicazione e d’informazione intesi in senso ampio. Aggiungendo all’esistente progetti capaci di spiegare le dinamiche dell’attuale mercato del lavoro e la composizione del tessuto produttivo nazionale, le opportunità d’impiego in Italia e all’estero, ma anche di esplorare i nodi scuola-università-impresa e le frontiere delle professioni, mentre continuano a informare su annunci di lavoro e concorsi pubblici. Forme e strumenti possono tutti essere impiegati: interviste, schede, storie, esperienze di vita, mini-fiction per canali social e molto altro ancora, con un linguaggio competente, rispettoso e puntuale. Oppure tramite social network dedicati, sviluppare la comunicazione tra giovani e imprese, che di questo possono fare un nuovo punto di forza dell’esercizio delle loro responsabilità sociali. Tutto ciò è un mondo che già esiste, talvolta in termini embrionali, che si presta a essere dilatato lungo i “corridoi” comunicativi della globalizzazione. Non è un caso che il web 2.0 sia nato per facilitare la circolarità di contenuti tra gruppi di persone che condividono o possono abbracciare un progetto comune[3]. Si tratta di dare conto del reale, ma anche di raccontare, con spirito creativo, una nuova stagione del lavoro[4].

Costantino Coros

 

[1] Paolo Magliocco, pubblicato il 24 febbraio 2018 su www.lastampa.it/cultura; ultima modifica il 22 giugno 2019.

[2] https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx

[3] Michele Colasanto, sociologo del lavoro, professore emerito Università Cattolica di Milano.

[4] Costantino Coros, Comunicare il lavoro. Vent’anni d’informazione per il cittadino, rivista Desk, n. 2-3, 2017.

 

Immagine utilizzata : Pixabay

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