Cosa significa parlare di una “nuova” politica? Il tema cioè che affrontiamo a Roma domani, sabato 19 ottobre, insieme a numerosi rappresentanti di altri gruppi e associazioni che vogliono ragionale sulla possibilità di dare vita ad una “Alleanza popolare e democratica” che faccia della libertà e della solidarietà la doppia faccia di una sola medaglia di quel processo di trasformazione che deve interessare il Paese sotto il profilo istituzionale, sociale ed economico (CLICCA QUI).

In primo luogo, significa superare la logica del bipolarismo in cui siamo finiti negli ultimi trent’anni e più. Cominciando dai territori dove i contenuti programmatici fondamentali per rigenerare il Paese diventano la cifra concreta e coerente con cui riannodare i rapporti tra istituzioni, politica e popolo.

Negli oltre tre decenni vissuti dal nostro sistema politico abbiamo registrato tanti fenomeni di distorsione del quadro democratico. Che riguardano gli equilibri istituzionali, lo snaturamento dei partiti, un profondo distacco del paese legale da quello reale. Come ci ricorda il continuo ripresentarsi dell’astensionismo, in crescita in qualunque tipo di consultazione elettorale.

La nostra democrazia appare sempre più gracile e malata. In coincidenza con l’affievolirsi di quelle voci che hanno nella loro tradizione una forte carica solidale. Come quella popolare, ma non solo, perché una politica quasi esclusivamente basata su un sistema di “nominati”, di partiti sempre più guidati da ristretti circoli, e della logica della scelta per schieramento, ha di fatto tolto di scena anche le grandi culture del mondo liberale, repubblicano e socialista.

Non si tratta, pertanto, di pensare ad un mero posizionamento intermedio tra destra e sinistra. Bensì, di costruire dal basso una vera e propria alternativa basata, come indicava il Manifesto Zamagni (CLICCA QUI),  su di un pensiero forte in grado di dare voce ad un progetto di autonomia che non significhi solitudine, ma, al contrario,  una sfida sul piano di contenuti programmatici che, in questa fase vissuta dal Paese, richiamano, insieme e in forma coerente e compiuta, gli aspetti istituzionale, vedi il Premierato; l’organizzazione dello Stato e della sua propaggini regionali e locali, vedi l’Autonomia differenziata; i nuovi paradigmi economici e sociali da mettere in forte competizione con l’idea di un liberismo individualista, e la collegata finanziarizzazione dell’economia, rivelatisi negli ultimi decenni i più pericolosi fenomeni di destabilizzazione economica e sociale.

Ciò è a maggior ragione valido in un contesto internazionale che diventa sempre più complesso e che fa inopinatamente ritornare a diventare la Pace il bene più bene prezioso da coltivare, anche in una realtà come quella europea chiamata a rafforzarsi per superare le lacerazioni interne, provocate dalle spinte nazionalistiche che, a ben guardare, sono le vere cause di quei problemi denunciati dai populisti, e tornare, così, ad una politica internazionale fatta di dialogo e di collaborazione.

Anche per questo l’Italia ha la necessità di interrogarsi e operare sulle proprie condizioni di divisione e di smarrimento. Cui si è pensato di rispondere con le varie forme di populismo succedutesi nel corso dell’ultimo decennio e che, oggi, ci fa trovare con il Governo più di destra, più divisivo e accentuatore delle disparità sociali e regionali, che il nostro Paese abbia mai conosciuto.

Per reagire a tutto ciò c’è bisogno di una cultura politica “nuova” adeguata alla complessità del Paese e agli inediti equilibri in via di definizione nel mondo.

Sappiamo che la società italiana è percorsa da un grande fermento. Quello ignorato dai grandi partiti e dal sistema dell’informazione. E questo spiega quella fase di ascolto in cui sembrano tornare a coinvolgersi il mondo popolare e dell’impegno sociale in gran parte fatto, sì, di cattolici, ma anche da espressioni di altre culture politiche, come noi intenzionate a dare un senso costruttivo e di autentica trasformazione dell’impegno pubblico, e che, come noi, credono nel consolidamento delle istituzioni libere, democratiche e basate su di un reciproco rispetto dei loro distinti ruoli e competenze.

Siamo tutti consapevoli che abbiamo bisogno di consolidare le conquiste dell’Italia repubblicana raggiunte a caro prezzo, basate sulla coesione sociale, sulla partecipazione, sulla ricchezza delle vocazioni e specifiche articolazioni locali e, quindi, curando ed esaltando una politica fatta di vicinanza con le realtà territoriali.

Il ragionare assieme, su di una base paritaria, senza la pre costituzione di uno schema imposto arbitrariamente dall’alto, serve anche per individuare, assieme, le forme concrete in cui, a partire  dalla collaborazione nei territori, e pure, eventualmente, in un impegno elettorale da definire nei modi e nei tempi che, soprattutto, il contesto locale richiede, si possa cominciare ad indicare che la costruzione di una politica “nuova” è possibile.

Giancarlo Infante

 

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