Il disegno di legge sull’autonomia differenziata, dopo il voto del Senato, approderà alla Camera per il definitivo via libera. Con questa riforma – tanto attesa dalla Lega e colpevolmente subita da Fratelli d’Italia, che difende l’unità della Nazione solo a parole – le Regioni potranno chiedere allo Stato la gestione in autonomia delle ventitré materie elencate nell’articolo 117 della Costituzione. Elenco nel quale troviamo le attribuzioni più disparate: dal commercio con l’estero alla sicurezza del lavoro, dalla sanità all’istruzione, all’ambiente alle reti di trasporto e di comunicazione.
Alle Regioni sarà concessa la facoltà di negoziare con lo Stato la gestione di queste nuove competenze ma il percorso si attuerà in maniera differenziata: ciascuna Regione potrà muoversi come meglio crede, richiedendo allo Stato di poter intervenire su questa o quella attribuzione in base alle proprie esigenze. Facile immaginare che ne deriverà un ordinamento a macchia di leopardo, con regole e norme anche molto diversificate in importanti ambiti sociali ed economici. Cresceranno i costi per le imprese, dovendo rapportarsi con specifiche normative a carattere regionale molto diverse tra loro. Aumenteranno le disuguaglianze territoriali perché il mantenimento in Regione delle risorse necessarie a gestire le nuove attribuzioni, cristallizzerà il divario già esistente tra Nord e Sud in settori cruciali come la sanità, la scuola o i trasporti.
Per evitare questa disparità – inaccettabili in termini di generale solidarietà nazionale – si prevede che l’avvio del percorso autonomistico sia preceduto dall’approvazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Ovvero quei diritti minimi essenziali da assicurarsi in tutta la penisola, senza alcuna discriminazione. Essi incideranno su una miriade di servizi che spazia dal numero di asili nido o di mense scolastiche, dalla rete di presidi sanitari alle linee di trasporto locale, combinando per ciascuna voce elementi quantitativi e qualitativi.
Quanto i Lep saranno realmente efficaci nel rendere esigibili tutti i diritti – dalle cure mediche all’istruzione – nel modo più pieno ed adeguato, è tutto da vedere. Il meccanismo pare simile a quello oggi vigente nella sanità con i Livelli essenziali di assistenza (Lea). Ma se si pensa che, troppo spesso, questi sono garantiti solo sulla carta – tanto che molte persone del Mezzogiorno vanno a curarsi nelle regioni settentrionali – naturale che ci sia da preoccuparsi.
Ancora da chiarire il capitolo costi. Secondo il ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli, principale sponsor dell’autonomia differenziata, tutto sarebbe a costo zero: il passaggio dalla spesa storica ai costi standard fissati con i Lep, non comporterà nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Resta però il fatto che le risorse trattenute nei confini regionali per erogare i servizi connessi alle nuove competenze determinano una perdita di gettito su scala nazionale.
Come si vede, siamo di fronte ad una riforma molto complessa che finisce per incidere su diritti essenziali della persona, dando vita ad un autonomismo “a la carte”, frutto di singole e mal coordinate spinte territoriali. Un pasticcio che rischia di compromettere irrimediabilmente l’unità del Paese con scuola, previdenza e sanità differenziate a tal punto da mandare in frantumi l’impronta solidaristica contenuta nei principi della nostra Costituzione.
E’ peraltro indubbio che ad aprire le porte a questo autonomismo sconsiderato, che rischia di concretizzarsi in modo assai disorganico, è stata la modifica del Titolo V della Costituzione approvata con i voti del centro-sinistra nel 2001. E’ stata questa riforma – congegnata per contrastare la Lega sul terreno federalista anche per prosciugarne il consenso elettorale – a introdurre la legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni, con cui sono soltanto aumentati i ricorsi dinanzi alla Corte costituzionale, e consentito alle Regioni di chiedere nuove competenze, oltre a quelle già assegnate in maniera esclusiva.
Oggi questo meccanismo istituzionale, potenzialmente capace di allargare ancor di più il fossato esistente tra le diverse aree della Nazione è in condizioni di dispiegare interamente i suoi effetti. Arduo immaginare che dal ginepraio di competenze assegnate a geometria variabile a questa o a quella Regione possa nascere un federalismo solidale. Più probabile l’approdo ad un’esasperata differenziazione tra le varie realtà del Paese. Esattamente il contrario di quanto sancito nella Costituzione con l’impegno della Repubblica a rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono ad un’uguaglianza davvero sostanziale tra tutti i cittadini.
Aldo Novellini
Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione I Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)