Matteo Renzi continua a fare il “battitore libero”. A dispetto delle reiterate dichiarazioni sull’intenzione di creare un’area più ampia verso cui dovrebbero naturalmente guardare tutti gli interessati al superamento dell’attuale sistema bipolare. E, dunque, se questa è davvero l’intenzione, a che serve una politica “in solitaria”?

Quella che per noi è stata, ed è, un’impostazione di cultura politica e di strategia trasformativa rischia di apparire una cosa diversa. E ce lo dicono tanti ragionamenti che sentiamo provenire da quell’area “centrale” da costruire. Forse vittima della tendenza alla semplificazione e a seguire il corrente linguaggio impostato esclusivamente su slogan che finisce per  parlare genericamente di Centro.

Per quanto riguarda Matteo Renzi, cui certo non difettano le arti della tattica, finora l’impressione è stata quella che, in realtà, egli pensi a mettere insieme tanti cocci. Quelli che, nonostante la logica dello schieramento contrapposto in blocchi, pure si formano in un sistema decotto. Dopo che Forza Italia si è ritrovata orfana di Silvio Berlusconi, e tutti sono convinti che nessuno tra le sue epigoni e i suoi epigoni, e loro sono le prime e i primi a saperlo, siano in grado di tenere assieme quello che solo Berlusconi riusciva a compattare, è evidente che Renzi  ha difficoltà, almeno in questa fase, a gettare il cuore oltre l’ostacolo della attuale costipazione in cui si fa ritrovare il sistema politico.

In questa prospettiva si può spiegare anche la sua decisione di sottoscrivere la presentazione di una proposta di legge che vorrebbe introdurre in Italia la figura del Presidente del consiglio eletto direttamente dal popolo, il cosiddetto “premierato”. Su questa linea, forse, egli potrebbe pensare anche a qualcosa di persino più ambizioso. Come potrebbe essere nel caso che anche Giorgia Meloni decidesse di rinunciare, nei fatti più che con le parole, all’idea del cosiddetto presidenzialismo. In fondo, in questo Paese, impegnato sempre più nell’uso di anglicismi storpiati, perché tanti italiani non si riescono più ad utilizzare propriamente la propria lingua, il cosiddetto “premierato” (termine che deriva da quello inglese di premier) potrebbe benissimo essere spacciato per presidenzialismo, anche se non sarebbe proprio la stessa cosa.

Ma restiamo all’oggi e, dopo aver ripetuto il concetto che l’Italia non ha bisogno di “uomini soli al comando”, anche perché tutti quelli che nell’arco degli ultimi trent’anni si sono spacciati per tali hanno fatto finora una brutta fine, ribadiamo la necessità di riscoprire e di dare un senso a processi democratici davvero partecipati.

Che esista un problema di governo, è innegabile. Ma questo non dipende solamente da alcuni limiti che incontra il Presidente del Consiglio. Anche se, nei fatti, Giorgia Meloni ci tiene già a ribadire in ogni occasione che lei è il “premier”. Ma, in effetti, esiste la questione di principio, e nella pratica, della gestione del Governo.  Non è che, però, con l’elezione diretta del Presidente del consiglio la questione si risolva in una situazione in cui è tutta la struttura di gestione a non reggere più i limiti in cui è stata precipitata dai partiti e da interessi esterni che la fanno oramai da padroni. Lo stesso varrebbe anche per il presidenzialismo.

Il punto cruciale, e noi lo diciamo da anni, è che non funziona l’attuale sistema politico ed istituzionale perché, al contrario di quello che fanno pensare questa o altre idee di riforma di natura costituzionale, si deve tornare alla piena applicazione della Costituzione e accettare, e rispettare, l’esistenza di un equilibrio tra i diversi poteri e  organi dello Stato. E, dunque, noi avremmo bisogno di personaggi che di questo abbiano piena consapevolezza e mostrare un’autentica capacità di guida del Paese accettandone la propria storia e le proprie complessità.

 

 

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