Il 7 ottobre 2023, truppe di Hamas, col supporto di altri gruppi terroristici palestinesi, irrompono dalla Striscia di Gaza in territorio israeliano, uccidendo, tra civili e militari, più di 1200 persone, sequestrandone alcune centinaia, tra cui circa 30 bambini e compiendo stupri e violenze La scelta della data non è casuale, ricorrendo in quel giorno, il cinquantesimo anniversario dell’avvio della guerra del Kippur. A più di sette mesi dall’accaduto, senza che nulla di concreto sia successo per porre fine alle ostilità, qualche riflessione si pone.
Da quel che si sa, Hamas avrebbe motivato l’attacco come risposta alle reiterate provocazioni delle forze israeliane nella Moschea al-Aqsa di Gerusalemme. Un atto del genere non può però trovare giustificazione e, l’opinione pubblica mondiale ha manifestato immediata preoccupazione, presagendo una reazione violenta da parte di Israele come infatti, è prontamente avvenuto. Alla provocazione di Hamas, Israele risponde con una rapida e massiccia potenza di fuoco. E’ verosimile pensare che Hamas abbia scelto quella data per il suo alto valore simbolico e che l’azione sia stata meditata per tempo e preparata con meticolosa precisione.
Conoscendo l’avversario, Hamas potrebbe aver avuto interesse a provocarne la reazione, puntando sul fatto che più cruento sarebbe stato l’attacco, più violenta sarebbe stata la ritorsione. Netanyahu, alle prese con problemi di precarietà politica interna, affronta la situazione di petto, prendendo solenne impegno per eliminare Hamas, verso i quali proclama senza indugio guerra. Il Governo di Israele è determinato a fare pulizia e si dichiara indisponibile a raccogliere gli appelli per una via di uscita pacifica, ritenendo inemendabile l’offesa.
Gli sforzi della diplomazia internazionale cadono nel vuoto, e la parola passa alle armi. La ritorsione è cattiva e animata da duri sentimenti repressivi. Il mondo assiste impotente, rilevando quanto la mano pesante di Netanyahu non si fermi di fronte a nulla, con un impiego di mezzi che appare fin da subito eccessivo quanto esagerato. Così, quell’opinione pubblica che all’inizio aveva preso le distanze da Hamas, non può che disapprovare gli eccidi del Governo Israeliano.
Da più parti si manifesta contro Israele, a favore della Palestina. Papa Francesco implora la pace, nel Mediterraneo, come del resto in Ucraina, da anni sotto attacco della Russia di Putin. Cosa potrà succedere nella Striscia di Gaza, è motivo di oggettiva preoccupazione, con milioni di persone obbligate a cercare rifugio in tendopoli improvvisate o luoghi di fortuna e, costrette a vivere in condizioni sempre più difficili. Se Hamas puntava a provocare Israele c’è egregiamente riuscita, contando sulla propensione del popolo ebreo a rispondere occhio per occhio, dente per dente.
Vien allora da pensare a un’altra provocazione attuata dai terroristi di Al-Qaida che, con l’abbattimento delle Torri Gemelle, tentarono di colpire al cuore l’America, ferendone mortalmente l’orgoglio. La reazione degli Usa, in quel caso fu mirata a individuare a eliminare i mandanti, nei modi noti. Quando non si hanno i mezzi per competere contro un avversario più potente e meglio organizzato, si ricorre alla rappresaglia, all’agguato, all’azione terroristica, alla tattica del “mordi e fuggi”, agendo sulle leve della guerra psicologica, nel tentativo di portare dalla propria parte il sentimento popolare, notoriamente incline a schierarsi col più debole.
Penso che se Netanyahu avesse preso in considerazione la via diplomatica anziché affidarsi a quella bellica, oggi si vedrebbero più bandiere di Israele che non quelle palestinesi. Non credo peraltro che, quand’anche uscisse vincitore sul campo di battaglia, ne guadanerebbe la sua stima internazionale. Nelle università di vari Paesi, i giovani sono in fermento, condannando Israele senza riserve, dimenticando le responsabilità di Hamas. In questo conflitto ci sono più colpe che ragioni, da una parte e dall’altra.
Un maggior discernimento sarebbe raccomandabile piuttosto che assecondare la logica del “noi” e “loro”, dei buoni e cattivi. Se si vuole davvero ricercare la pace, serve una presa di coscienza super partes e libera da pregiudizi: rinfocolare le avversità non fa che esasperare i contrasti. Non si può sapere come sarebbe andata con un altro leader, al posto di Netanyahu ma, condannare un’intera popolazione, quando è solo una minoranza a condividere le sue scelte, trovo sia poco rispettoso nei confronti del popolo ebraico. Per contro schierarsi con la Palestina, come se Hamas ne fosse un corpo estraneo, mi sembra per lo meno discutibile.
Hamas ha delle forti responsabilità nel conflitto arabo-israeliano, così come Netanyahu ha il torto di aver ecceduto nella reazione. Meno clamore e meno sventolìo di bandiere, faciliterebbero il compito delle segreterie politiche per trovare quella soluzione che ancora oggi appare lontana. Quando gli animi sono eccitati, le possibilità di accordo sfumano e le posizioni si radicalizzano. Il drammatico bilancio di questo conflitto è già oltremodo pesante, col suo carico di distruzione e morti e non ha bisogno di essere ulteriormente alimentato perché di fronte a una guerra è l’intera umanità a perdere.
Adalberto Notarpietro