Diciamo subito che la lettura della riforma fiscale approvata ieri dal Parlamento richiede almeno tre avvertenze.
La prima: lo schema finalmente licenziato dal Parlamento riprende largamente quello messa a punto da Draghi, già prossimo alla discussione quando M5S e Lega gli hanno tolto la fiducia.
La seconda: per ora si tratta di una delega al governo per emanare entro 12-24 mesi i decreti legislativi, con i testi unici che daranno esecuzione alla riforma. Alcuni erano già in fase avanzata di preparazione ed ora dovranno essere adeguati alle linee guida della delega approvata.
La terza: tra le condizioni poste da Bruxelles per erogare i fondi del PNRR, prima ancora dei progetti e dell’avvio concreto degli interventi, vi è quella di fare alcune riforme e tra queste, in primis, quella fiscale.
Ecco forse una delle ragioni per le quali la Camera ha approvato in terza lettura la riforma senza modifiche del testo approvato dal Senato.
Detto questo, sia pure in breve, si può convenire che la riforma è finalmente avviata. Le precedenti, tanto per coglierne l’importanza, sono state quelle di Vanoni negli anni ‘50 e da Visentini negli anni ‘70 del secolo scorso, intendendosi per riforma un provvedimento organico e sistematico. Tutti i governi che nel tempo si sono succeduti hanno chiamato per convenienza “riforma fiscale” anche interventi più o meno di emergenza, o rattoppi, oppure modifiche imposte da situazioni particolari. Mai norme sistematiche.
Veniamo quindi almeno alle linee guida di questa riforma.
Il Parlamento ha delegato il governo ad emanare i nuovi testi unici (IRPEF, IVA, ecc) attenendosi ad alcuni principi: da quelli della Costituzione (uguaglianza, capacità contributiva) a criteri generali quali il contenimento della pressione fiscale, l’equilibrio della finanza pubblica, e soprattutto la certezza del diritto, che veniva meno di fatto tra le migliaia di norme assunte nel tempo.
L’attuazione della riforma si tradurrà in decreti delegati.
Per le imposte dirette:
-l’imposta sulle persone fisiche che sarà progressiva, riordinando le centinaia di detrazioni oggi vigenti;
-l’imposta sul reddito delle società ed enti commerciali che sarà ridotta in particolare i casi, quali nuovi investimenti, partecipazione agli utili dei dipendenti, nuove assunzioni.
Sparisce l’IRAP, già definita trucemente “imposta sulle perdite” perché tassava non il reddito ma il prodotto: Purché tu producessi, pagavi anche se non guadagnavi.
Per le imposte indirette:
-l’IVA che resta la più importante e che il nuovo testo dovrà semplificare nel numero e nella misura delle aliquote, detrazioni e tempestività dei rimborsi.
Segue una complessa serie di indirizzi per tutte le altre imposte (tributi locali, registro, fabbricati, successioni, dogane, ecc.) e naturalmente norme in materia di accertamenti e contenzioso tributario.
Pur dando atto che questa volta si tratta di una riforma vera, tanto più efficace quanto più i testi unici saranno chiari e puntuali, si impongono alcune prime valutazioni alla luce di quanto sino ad oggi era stato previsto e promesso dai soliti noti.
- Non c’è la tanto evocata “flat tax” l’imposta unica uguale per tutti prevista “alla fine del riordino del sistema”. Alla maniera della classica foglia di fico. Timidamente si parla di questa fantasticheria limando l’aliquota solo alla tassazione del lavoro straordinario, ai premi di produttività, alla tredicesima mensilità di salari stipendi. Non hanno potuto ovviamente garantire la “flat tax” come promesso sulle piazze ed hanno introdotto il termine aggiungendo “incrementale”.
- Né si parla di autonomia finanziaria degli enti locali, pur auspicata da sempre e solo citata nei principi per attuare il cosiddetto federalismo fiscale. Niente di rivoluzionario rispetto agli attuali assetti e chi si attendeva maggiore autonomia per comuni, province e per le fantomatiche città metropolitane dovrà attendere.
- La lotta all’evasione è ovviamente annunciata con enfasi nel decreto. Resta da capire con quali strumenti e in quali termini. Una possibilità, prevista in altri Paesi, dovrebbe essere una volta per tutte l’incrocio dei dati con banche, compravendite immobiliari, operazioni in titoli ed altre forme di attività economica e finanziaria. Dall’incrocio dei dati ne uscirebbero delle belle, ma nel decreto non se ne parla.
La riforma almeno è ora ai blocchi di partenza anche se i problemi da affrontare sono ancora non pochi. Ecco perché proprio in questa occasione conviene ricordare l’opinione di Milton Friedmann, il noto economista premio Nobel americano, che parlando di riforma fiscale confermava la sua fede di monetarista ammonendo “che il problema centrale di una riforma non sarà mai quello delle imposte, ma piuttosto quello della spesa, di come controllarla e di come tenerla a bada.”
Guido Puccio