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Riformare la Sanità pensando alla “cura”… – di Paolo Malacarne

Il bisogno di salute delle persone si manifesta nella necessità di mantenersi in salute (prevenzione) e nella necessità di essere clinicamente curati (diagnosi e terapia), assistiti (la cura nel significato che la lingua inglese dà alla locuzione “I care”) e quando non più guaribili, accompagnati ad una morte dignitosa e senza sofferenze.

Intendiamoci però sul significato del termine “salute”. La nota definizione data nel 1946 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale” è stata progressivamente ritenuta irrealistica, in particolare per il progressivo incremento delle malattie cronico-degenerative. Oggi una definizione più accettata di salute è “capacità di adattamento al variare delle condizioni”: non una entità fissa dunque, ma uno stato che varia al variare delle circostanze: adattamento piuttosto che perfezione, perché la perfezione non esiste.

Se la capacità di adattamento alle diverse condizioni è la salute, ben si comprende come  il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che deve garantire lo stato di salute dei cittadini, debba con loro interagire in modo tale da instaurare una vera e propria “relazione” duratura nel tempo, dapprima con la prevenzione, che tende al mantenimento di buone condizioni fisiche e psichiche,  successivamente, al comparire di malattia, con cure (diagnosi e terapia), riabilitazione, assistenza, e accompagnamento fino al momento del fine-vita. Il tutto con uno sguardo sempre attento alla situazione sociale della persona, e nella cornice dei quattro principi bioetici della cura, sempre riconoscibili: autodeterminazione e autonomia decisionale della persona, non maleficità, beneficialità, giustizia distributiva.

Di fronte ai bisogni di salute delle persone, il SSN si deve organizzare per dare risposte a questi bisogni. Questo organizzarsi può realizzarsi però con due filosofie profondamente tra loro diverse:

Scegliere l’una o l’altra filosofia di azione che risvolti pratici può avere?

Nella relazione di cura, chi cura (medici, infermieri, ecc.) e chi è curato (malato, suoi familiari) stabiliscono, pur nella diversità sostanziale di competenza e conoscenza della materia sanitaria e quindi nella asimmetria delle relative posizioni, una relazione più o meno duratura (più lunga nel caso del “medico di famiglia” o dell’”infermiere di famiglia”, più breve, ma non per questo meno intensa, nel caso di un sanitario ospedaliero) all’interno della quale la persona malata trova/dovrebbe trovare  innanzitutto certezza di essere” preso in cura”. Per chi è in una situazione di bisogno, la prima cosa è sapere che può rivolgersi a qualcuno con cui entrare in relazione per poter esplicitare il bisogno. Da parte di chi raccoglie la richiesta  e accoglie chi la formula, entrare in relazione di cura significa accompagnare,  accompagnare all’interno dei diversi, e talora frammentati, servizi e delle molte prestazioni del SSN che potranno essere utilizzate per rispondere a quel bisogno; ma anche, e talora soprattutto, accompagnare chi esprime il bisogno in un percorso di “autodeterminazione” e ricerca di “autonomia decisionale”, una autonomia che tutto significa eccetto solitudine decisionale.  Detto in termini molto concreti,  il malato non deve essere lasciato solo nel decidere se dare o meno il suo consenso alle cure, ma deve essere accompagnato e aiutato a decidere secondo le sue preferenze, le sue concezioni, i suoi valori e i suoi desideri. Chi si trova in condizione di bisogno e si rivolge al SSN esprime comunque una fragilità: essere fragili significa che ci si può “rompere” molto facilmente: chi accoglie il fragile deve proprio, oltre a prospettare servizi e prestazioni atti a rispondere con efficacia a quel bisogno, aiutare quella persona a “non rompersi”. Relazione non semplice per chi da curante  accoglie e accompagna il/i curati: rispettare comunque la volontà dei curati, anche se è una volontà diversa da quella dei curanti, che anche in questa diversità non devono abbandonare i curati;  accettare, da parte dei curanti, che vi siano  situazioni nelle quali non si può risolvere positivamente il problema posto dai curati; avere la onestà intellettuale di non proporre o dare il diniego a servizi e prestazioni che non possono ragionevolmente modificare la prognosi infausta della malattia e del malato; accettare di vedere specchiata nella fragilità dei curati la propria fragilità; e altro ancora ..

La relazione di cura ha bisogno di tempo, di spazio, di risorse. Dobbiamo allora chiederci: è compatibile con il processo di aziendalizzazione che oggi caratterizza l’organizzazione del SSN? E’ fattibile con l’attuale organizzazione del SSN? E una organizzazione del SSN che mette al centro la relazione di cura è “economicamente sostenibile”?

Certamente il modello “prestazionale” è molto più semplice, ancora più semplice se abbinato al libero mercato, dove chi ha bisogno va e acquista servizi e prestazioni. Ma questo modello ha due “buchi neri”: chi accoglie e accompagna la persona nel mare frastagliato e frammentato di servizi e prestazioni? Chi aiuta la persona ad arrivare a scelte consapevoli e in linea con le proprie convinzioni? E chi verifica la qualità e la appropriatezza dei servizi e delle prestazioni?

Servizi e prestazioni ben funzionanti sono “condicio-sine-qua-non” per un SSN utile alle persone. Ma servizi e prestazioni sganciate da una relazione di cura producono, se efficaci, variazioni fisiopatologiche nell’organismo di un malato che non di per sé si traducono in salute intesa come capacità di adattamento. Se invece inseriti nella relazione di cura, servizi e prestazioni si rivelano strumenti efficaci nel permettere quella capacità di adattamento che è la salute.

Proviamo a calarci nella realtà quotidiana della sanità, territoriale e ospedaliera, per capire quanto le osservazioni e le riflessioni fin qui fatte possono avere un impatto sulla realtà: tre considerazioni sono in tal senso rilevanti:

Tutto questo è stato evidente agli occhi dei cittadini, e, a parole, anche della Politica: e su questo è intervenuto il PNRR, che nella “missione 6 salute” stanzia una cifra cospicua, per spese in conto capitale, sulla sanità territoriale e ospedaliera. Ma, una volta costruite strutture territoriali quali Case della Comunità e Ospedali di Comunità e una volta rinnovato il parco tecnologico e informatico degli ospedali, se non c’è personale e non vi sono beni di consumo per far funzionare tutto quanto è stato costruito con i fondi del PNRR, non solo non si risolveranno i problemi, ma si incrementerà il modello “prestazionale”, rispetto al modello della “relazione di cura e presa in cura”, dato che, essendo il sistema pubblico non in grado di gestire territorio e ospedale per mancanza di personale e di beni di consumo, sarà il privato accreditato a far man bassa nella gestione di queste strutture, non certo nella logica dispendiosa della “relazione”, ma in quella remunerativa delle “prestazioni”, ovviamente solo quelle a basso costo e ad alto ricavo. Ecco, purtroppo sembra questa la direzione che la Politica prende, dato che per il 2022 il finanziamento della Stato al SSN tramite il Fondo Sanitario Nazionale, nel suo rapporto con il prodotto Interno Lordo, torna a valori inferiori al 6,5%, valore al di sotto della media europea e minore rispetto a quello del 2019: un PNRR allora che costruisce cattedrali vuote?

Se posso trarre una conclusione, direi che, elaborando una riflessione non mia, PNRR e traiettoria politica nazionale attuale stanno indicando una “riforma” del SSN che non va alla radice dei mali: si rifinanzia, col PNRR, senza poi prevedere un incremento di risorse in conto corrente, cioè personale, e senza ripensare a come si possa realizzare la “presa in cura”  cui si è accennato. Il solo fatto che non si discuta in modo chiaro del ruolo e dell’inquadramento giuridico dei medici di medicina generale e che non si accenni minimamente alla necessità di una nuova formazione del personale sanitario ne è l’emblematica dimostrazione.

Ciò di cui avremmo bisogno non è una “riforma” nel solco già tracciato per avere “prestazioni” a rapporto costo/beneficio più vantaggioso, ma una “trasformazione” del SSN a partire dal ripensamento del modello prestazionale verso il modello della “relazione e delle presa in cura”, a partire dal quale identificare come poterlo attuare, individuando formazione, risorse, modelli organizzativi e “governance”

Paolo Malacarne

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