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Risolto l’equivoco del “partito cattolico”… e poi? – di Giancarlo Infante

Abbiamo seguito come meritava la Settimana sociale dei cattolici di Trieste. Che del resto riguardava un tema scabroso qual è quello dell’impegno politico. Non scabroso in sé, ovviamente, bensì per il trentennio che ci separa dalla scomparsa della Democrazia cristiana. E per il ruolo che vi hanno, o non vi hanno avuto i cattolici.

Un periodo lungo che ha fatto ritrovare, a differenza di quel che fu dal ’44 in poi, un intero mondo ininfluente ed indifferente rispetto a quei processi sociali e politici fondamentali per ogni comunità umana. Inifluenza ed indifferenza ricordate anche da Papa Francesco e da altre figure importanti della Chiesa cattolica.

Poi, è giunta la rivoluzionaria enciclica della “Fratelli tutti” (CLICCA QUI) che, per la prima volta, in particolare con il capitolo 5, ha visto un Pontefice misurarsi in maniera diretta con il tema della Politica.

Il coraggioso passo di Trieste di far impegnare tutto il mondo cattolico su di un tanto decisivo tema, allora, va considerato all’interno di un percorso di approfondimento che parte sia da quella Enciclica, sia da quanto era già stato posto sul tavolo dalla forza delle cose.

Nino Labate, in un suo recente intervento, che pubblichiamo a parte (CLICCA QUI), ha sottolineato come a Trieste sia stato ancora una volta, possiamo sperare sia quella definitiva?, sgomberato un equivoco: quello del partito “cattolico” o di partito “unico” dei cattolici.

Si tratta, in realtà, di una forzatura concettuale che in Italia, ma anche in tutta l’Europa, non è mai stata fondata. Perché, salvo dannose sparute minoranze integraliste del tutto marginali, nessuno ha mai pensato al  partito confessionale. Come, del resto, l’impronta cristiano democratica e popolare tedesca e di altri paesi hanno sempre dimostrato.

Quando a Papa Francesco venne chiesto della possibile nascita di un “partito cattolico”, solo chi era a digiuno della storia, o solo chi era in mala fede, poteva aspettarsi qualcosa di diverso da una risposta negativa. In Germania, dalla seconda metà dell’800, e in Italia, con Sturzo, la questione era stata abbondantemente risolta. E sin dalla nascita di quelle esperienze politiche e partitiche. Così come la Democrazia cristiana è sempre stato un partito laico fatto di laici che muovevano i loro passi sulla base di un’ispirazione cristiana che, però, cercava aperture ed interlocuzioni con la società tutta e non pensava proprio di chiudersi in un fortilizio confessionale. La DC è sempre stato un partito pluralista che accettava la sfida posta da una società articolata e complessa. E il pluralismo politico ha sempre caratterizzato il mondo cattolico italiano, anche quando quella cattolica era considerata la “religione di Stato”.

Un pluralismo sempre più accentuato che, nell’ultimo trentenni, è diventato compagno di strada dell’ininfluenza e dell’indifferenza. Il voto cosiddetto cattolico, cioè, ha finito per sparpagliarsi in molte formazioni, per quanto collocate all’interno di un quadro di bipolarismo. E su questo punto, sul riconoscimento, e la piena accettazione di questo fenomeno, in particolare, si è sviluppata l’analisi sull’incontro di Trieste di Domenico Galbiati (CLICCA QUI), recentemente pubblicata su queste pagine.

Chi è nato e cresciuto all’interno della cultura popolare, quella di Sturzo, De Gasperi e Moro, ha sempre avuto ben chiare questa ed altre cose. E continua a credere nella necessità di una proposta popolare. Non solo c’è spazio, ma è addirittura necessario dare, comunque, un corpo politico a quella naturale, ed ovvia predisposizione del cristiano a permearsi di solidarietà, a partecipare alla costruzione di più ampi processi basati sulla Giustizia sociale e ad impegnarsi per  il rispetto della dignità delle persone e di quelle comunità che naturalmente, ed autonomamente, si organizzano all’interno della società. Ben sapendo quanto sia ovvio rifuggire da ogni logica men che laica o di stampo integralista.

Pertanto, il superamento dell’equivoco del cosiddetto “partito cattolico” venuto da Trieste è importante. Ma non è sufficiente. Così come non lo sono le ipotesi secondo le quali ci si può accontentare di dedicarsi alla pure importante formazione delle coscienze o al pre – politico, qualunque sia l’espressione usata al riguardo.

La costruzione di una presenza popolare e solidale è, in ogni caso, questione che riguarda i laici, in quanto cittadini. Hanno tutti i mezzi per offrire al Paese una proposta politica caratterizzata, non solo da un pur necessario quadro d’ispirazione e di riferimento storico e di cultura politica, ma soprattutto da una capacità di rispondere a quei nodi d’interesse generale su cui hanno fallito sia la sinistra, sia la destra. come dimostrano le condizioni e i problemi irrisolti del Paese.

Ancora una volta il congiunto riferimento sturziano, degasperiano e moroteo indica i contenuti ed un modo di fare politica necessario per reinventare e per ripercorrere quella strada che portò più volte ad una trasformazione dell’Italia, cui ancora oggi dobbiamo puntare.

Giancarlo Infante 

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