Corona virus: perché?
Il corona virus sta avendo un impatto sulla nostra vita sociale ed economica senza precedenti, almeno a memoria d’uomo. Impressionante non è solo l’entità, ma anche la velocità dell’impatto. Nell’arco di poche settimane l’intero pianeta si è trovato sotto scacco. Come mai sta capitando tutto questo? Risposta: stiamo vivendo in tempi esponenziali, immersi nella complessità del reale che cresce continuamente. Per spiegarmi partirò un po’ da lontano.
Dal “Big Bang” al “Big Crunch” della specie umana
La nostra specie “homo sapiens” compare in Africa tra i 150.000 e i 200.000 anni fa. Con il termine “Out of Africa” si indica la prima grande uscita dall’Africa dei sapiens, avvenuta circa tra 60.000 e 80.000 anni fa. Una migrazione che ci ha visti espandersi nel mondo intero. È il “Big Bang” della specie umana. In ogni angolo del pianeta nel tempo si generano notevoli differenze culturali, sociali, linguistiche, politiche, economiche ecc.
Possiamo fissare in modo evocativo nel 1492 – anno di scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo – la data del “Big Crunch” della specie umana. In quella data le due parti del pianeta si incontrano: dopo un processo molto lento di allontanamento e di differenziazione, i sapiens iniziano un processo molto rapido di riavvicinamento e di uniformazione. È l’inizio di quello che oggi chiamiamo globalizzazione.
La nascita delle reti mondiali logistica e digitale
Per arrivare ai nostri tempi, possiamo individuare un’altra data evocativa: il 1989. È l’anno della caduta del muro di Berlino e della fine della guerra fredda; ma soprattutto è l’anno dei primi collegamenti della rete internet.
Dal 1989 in poi si sviluppano due gigantesche reti mondiali: la rete logistica e la rete digitale. La prima muove incessantemente uomini e cose intorno al mondo, mentre la seconda trasporta nel pianeta messaggi e informazioni quasi istantaneamente.
Le reti logistiche e digitali hanno consentito alle persone di cambiare il loro modo di vivere (si pensi soltanto ai voli low cost) e di relazionarsi anche a distanza. Le due reti hanno consentito alle imprese di sfruttare con grande efficacia risorse che fino ad allora erano estremamente difficili da utilizzare: la diversità dei costi e delle competenze tra i paesi del mondo, e la diversità delle conoscenze e delle informazioni in possesso delle persone. Le possibilità di ricombinare queste diversità hanno dato luogo ad una impensabile impennata in termini di produttività.
Lo scoppio della pandemia da corona virus ha reso evidente che questa iper-connessione logistica e digitale trasporta con la stessa efficienza non solo le opportunità, ma anche le minacce. Oggi, con il Covid-19 che contagia il mondo, tocchiamo con mano la sorprendente efficienza delle reti: la rete logistica, muovendo milioni di persone su scala globale, ha trasportato nel giro di qualche giorno il virus intorno al mondo, mentre la rete digitale ha trasportato con velocità anche superiore la paura.
Un mondo iper-connesso
Il corona virus è solo l’ultimo esempio di una quantità di fenomeni legati alla iper-connessione.
Nella rete digitale circolano virus informatici, fake news, proclami terroristici, materiale pedopornografico e tanta altra robaccia che va sotto il nome di darkweb. Circolano anche migliaia di informazioni personali che ogni utente genera vivendo una vita connessa. Nei social network circolano le nostre emozioni, i nostri desideri, le nostre paure. Tutte informazioni che danno vita a un gemello digitale, che mani sagaci sanno come sfruttare per lucrare profitti.
Nella rete logistica circola ogni tipo di bene, compreso armi e droga; circolano – nei siti delle aste – i beni di cui ci vogliamo disfare. Circolano persone: manager, studenti e turisti e, non ultimi, diseredati che fuggono da guerre, povertà e pestilenze. Ovviamente, circola, e perché no, il corona virus.
Viviamo in tempi esponenziali
Nel 1970 nella terra vivevano circa 3,5 miliardi di persone, oggi superiamo i 7 miliardi. Il primo sms fu spedito nel dicembre del 1992, oggi il numero degli sms spediti e ricevuti ogni giorno è maggiore del totale degli abitanti del pianeta. Per raggiungere un pubblico di 50 milioni di persone la radio impiegò 38 anni, la televisione 13, internet 4, l’iPod 3, facebook 2. Gli utenti collegati a internet nel 1984 erano mille, nel 1992 un milione, nel 2020 oltre 4 miliardi.
Viviamo in tempi esponenziali. Come mi diceva l’amico e compianto Ernesto Illy: “Quando la vita scorreva lenta come un pigro fiume, la complessità esisteva, ma non veniva percepita. Oggi tutti se la sentono addosso, perché il ritmo si è fatto serrato come un torrente vorticoso”.
La firma della complessità: le legge di potenza
La complessità è caratterizzata dalla presenza di risposte non lineari. Per riconoscere se un fenomeno è semplice o complesso è sufficiente analizzare la distribuzione dei suoi dati. Se i dati sono distribuiti secondo la Legge Normale (ovvero la classica “campana” gaussiana) il fenomeno è semplice, se i dati sono distribuiti secondo la Legge di Potenza (ovvero lungo un ramo di iperbole), il fenomeno è complesso. Possiamo affermare che la Legge di Potenza è la “firma della complessità”.
L’aspetto più importante per i fenomeni complessi è che non possiamo fare affidamento sui valori medi. Facciamo un esempio. L’altezza media di un maschio adulto statunitense è 170 cm. La maggior parte della popolazione dei maschi adulti non devia molto da questo numero. La storia registra nel 1940 l’unico caso eccezionale di Robert Ladlow che misurava 272 cm, cioè 1,6 volte l’altezza media. La distribuzione dell’altezza dei maschi americani segue la Legge Normale, che prevede che la media può essere utilizzata efficacemente per fare valutazioni e prendere decisioni. Ad esempio, l’altezza media del maschio adulto americano può essere utilizzata per realizzare letti, materassi, porte, automobili e aerei.
Per le città la situazione è diversa. La dimensione media delle 600 più grandi città americane è di circa 166.000 abitanti. Se applicassimo la Legge Normale alle città americane, la città limite dovrebbe avere 782.000 abitanti, cioè 4,7 volte la media. In altri termini, la città di New York con i suoi 8,6 milioni di abitanti è un evento impossibile sulla base della Legge Normale. Per fare un paragone, un individuo dovrebbe essere alto come l’Empire State Building. In realtà la distribuzione delle città segue la Legge di Potenza, la stessa che governa i fenomeni complessi presenti nelle reti iper-connesse. Secondo la Legge di Potenza il tracollo dell’economia mondiale del 2008 e la pandemia del coronavirus del 2020 sono eventi possibili, rari, ma comunque attesi. Dunque, bisogna attrezzarsi. Non è più sufficiente ragionare sulla media e sull’intervallo di variazione delle esperienze passate. Come sostiene il mio collega ed amico prof. Giuseppe Zollo dell’Università di Napoli Federico II “l’iper-connessione ha dato luogo a una discontinuità”.
La disconnessione
Siamo totalmente impreparati a comprendere come fronteggiare l’ampiezza e la rapidità dei fenomeni complessi che un sistema iper-connesso può generare con crescente frequenza.
L’elaborazione di una risposta adeguata richiede lo sviluppo di un pensiero complesso, capace di pensare in modo non lineare, di evitare di ricondurre a una forzata coerenza la molteplicità e il paradosso che abbondano nella complessità, di adeguarsi ai tempi sempre più ristretti delle decisioni.
Ma per costruire abitudini mentali e sistemi sociali in grado di pensare e gestire la complessità dell’iper-connessione ci vuole tempo, ma soprattutto la consapevolezza e la volontà di farlo. Per ora la risposta che molti propongono è l’unica che sono capaci di proporre: la disconnessione.
La disconnessione è la reazione istintiva della paura. Recidere le relazioni, alzare mura, rinchiudersi entro uno spazio limitato ritenuto più controllabile. La guerra agli immigrati, il sovranismo, la Brexit, la sospensione dei voli, i controlli alle frontiere ecc. sono tutti esempi di una voglia di disconnessione da una globalizzazione vissuta come minaccia
Secondo principio della termodinamica: chiusi si muore
Ma tutti sappiamo che la disconnessione non può che essere una risposta provvisoria. Ce lo dicono per primi gli agricoltori italiani, i quali – nei TG di questi giorni – ci avvisano che, se non arriveranno per tempo gli stagionali stranieri, la raccolta nei nostri campi quest’estate non sarà possibile, con danni ingenti per la nostra economia.
Il secondo principio della termodinamica ci ricorda che chiusi si muore. I sistemi aperti evolvono e vivono, i sistemi chiusi declinano e muoiono La disconnessione può essere una risposta utile solo per prendere tempo. Tempo da dare alle persone e alle collettività nazionali per reagire, utilizzando i mezzi che fino ad ora si è stati in grado di mettere a punto.
Pur consapevoli dell’efficacia sul breve termine della disconnessione, siamo parimenti consapevoli che questi mezzi appartengono a un altro mondo che ormai non c’è più (quello prima del 1492), e che dopo questo stress test bisognerà ripensare tutto daccapo.
Bisognerà comprendere come rispondere con efficacia alla complessità del mondo che abbiamo generato, una complessità che cresce sempre.
Lato chiaro e lato oscuro della complessità
Perché il volo dei moscerini non è lineare, ma è discontinuo con improvvisi zig-zag? Risposta: perché le rane, classiche predatrici dei moscerini, “conoscono” la trigonometria e quindi se i moscerini volassero in linea retta, la loro posizione sarebbe facilmente calcolabile da parte delle rane. I moscerini hanno sviluppato nel tempo e codificato nel loro DNA un volo discontinuo, complesso, fonte di sopravvivenza della loro specie. La semplicità del volo dei moscerini sarebbe per loro mortale, la complessità del volo dei moscerini è invece per loro vitale. La complessità del volo generata dai moscerini è fonte di sopravvivenza, è una complessità amica. Dal punto di vista delle rane invece è una complessità nemica, alla quale devono adattarsi, nel tentativo comunque di afferrare qualche moscerino.
Esiste quindi il lato chiaro della complessità, la complessità amica, quella generata per aumentare il proprio grado di sopravvivenza (lato moscerini), ed esiste il lato oscuro della complessità, la complessità nemica, quella subita, alla quale comunque è necessario adattarsi per sopravvivere (lato rane).
Spostando l’attenzione sulla competizione non tra specie, ma tra imprese, il concetto del lato chiaro e oscuro della complessità rimane comunque valido: l’impresa che crea un’innovazione aumenta le complessità del suo mercato, nel tentativo di mettere in difficoltà i propri competitori.
Quindi specie viventi, uomini e organizzazioni sono agenti “della” complessità, nel senso che la generano continuamente per aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. La complessità generata è amica (lato chiaro della complessità) e il principio ordinatore è l’azione.
Allo steso tempo altre specie viventi, uomini e organizzazioni sono agenti “nella” complessità, nel senso che subiscono un aumento di complessità. La complessità incontrata è nemica (lato oscuro della complessità) e il principio ordinatore è la reazione, volta a realizzare degli adattamenti per mantenere elevate le loro probabilità di sopravvivenza.
Quello che comunque è evidente è che nel mondo la complessità aumenta sempre, figlia della continua competizione per la sopravvivenza.
Adattarsi alla complessità crescente
Se vogliamo rimane aperti evitando la disconnessione, se vogliamo evolvere anziché intraprendere la via del declino, dobbiamo sviluppare un pensiero e una azione capace di risposte efficaci alla complessità crescente del mondo in cui viviamo, nei suoi diversi aspetti: culturali, sociali ed economici. Un argomento del genere richiederebbe ben altro spazio. Un breve cenno ad un aspetto: quello dell’azione.
L’onda lunga del contagio da corona virus nel pianeta deve ancora arrivare. L’onda lunga: quella che alza tutte le barche. Non possiamo contrastare la generazione di onde oceaniche e venti tempestosi, ma possiamo fare imbarcazioni robuste e vele resistenti per navigare nel mare in burrasca.
Ad oggi non abbiamo il vaccino, non possediamo la conoscenza necessaria per risolvere il problema. Questa è una situazione classica quando si affrontano problemi complessi, come quello di cui stiamo parlando: una pandemia. La conoscenza disponibile a tavolino non è sufficiente. E allora?
Dobbiamo fare quello che abbiamo sempre fatto in assenza di conoscenza utile: ricorrere all’azione. L’azione è il fondamento della creatività umana. È lo spirito generativo che ci ha consentito di arrivare fin qui. L’esperienza dell’azione non è semplice osservazione, ma rappresenta un’attività generativa in grado di produrre una realtà inedita e generare nuove forze. La sperimentazione ha un carattere costruttivo: sperimentare significa generare artefatti e modelli. Inoltre la sperimentazione chiama in causa competenze e approcci diversi e realizza sul campo interazioni ed integrazioni altrimenti non realizzabili. Infine questa integrazione in opera non è un semplice ponte tra saperi diversi. È un intreccio che apre altri inediti campi esperienziali. È come se si determinasse una sconcertante proliferazione di attività eterogenee, tuttavia tenute insieme dal medesimo istinto generativo, l’istinto dell’azione. Sulla carta le creazioni sono potenzialmente infinite, ma l’uomo riesce a possederle concretamente solo quando le ha effettivamente costruite. È l’azione costruttiva che genera conoscenza.
Di fronte all’impasse di una soluzione che non si trova, quello che risulta possibile è l’azione, condotta con un istinto generativo che consente di sfuggire dall’impasse dell’indecidibile e fa emergere nuovi campi esperienziali, dove il problema viene riconfigurato in un contesto generato ex-novo, nell’ambito del quale – grazie alle nuove dimensioni introdotte – il problema riformulato può trovare soluzione. Una persona esperta – per contrastare la complessità dei problemi che affronta – si comporta in modo pragmatico: costruisce sempre nuove situazioni di gioco, grazie ad una continua una tensione evolutiva.
Il cambiamento, più che rappresentare il risultato di un progetto coerente pianificato a tavolino, rappresenta quasi sempre il risultato emergente ed esperienziale dell’azione. Infatti solo quest’ultima è in grado di innescare una dinamica virtuosa. Essa è destinata ad entrare in interazione con altre prospettive (le azioni concorrenti); quindi è costretta ad adattarsi, migliorarsi, rettificare il tiro; infine è costretta a disinnescare l’impasse “forzando” la generazione di nuovi percorsi evolutivi. È come se l’azione implicasse sempre un aspetto esperienziale co-costruttivo.
Il corona virus è avvisato
In ultima analisi: quali azioni intraprendere per il corona virus? L’intelligenza è distribuita e all’opera ci sono molti che in logica emergente sono già all’opera. La soluzione sarà il risultato auto-organizzato di inter-azioni emergenti tra persone, organizzazioni, enti, centri di ricerca, stati ecc. Una azione sistemica, progressiva e pervasiva: un’autentica trasform-azione.
Il corona virus è avvisato: non c’è un piano, ci sono una moltitudine di inter-azioni in essere. Quelle che ci hanno fatto arrivare fin qui e ci faranno arrivare altrove.
Alberto F. De Toni