Non sapremo mai cosa avrà pensato Sergio Mattarella dopo l’esibizione “scandalosa” di Rosa Chemical e Fedez a Sanremo. Si sarà pentito di aver messo il suo sigillo sul Festival? Non lo crediamo, ma certamente sarà pensoso come dev’essere un uomo della sua statura morale e intellettuale.
Noi condividiamo il giudizio del professor Giuseppe De Rita che, commentando la presenza del Presidente della Repubblica alla serata inaugurale del Festival, l’ha inserita nella cornice della “politica pop” alla quale neppure la più alta carica dello Stato si può ormai sottrarre. A prescindere, quindi, dalla questione centrale posta dalle diluviali serate del “Festival degli italiani”, come piace dire a certi commentatori innamorati dell’idea che quella di Sanremo sia l’Italia reale, a dispetto dello stesso principio di realtà. E cioè che il Festival e i suoi protagonisti abbiano la missione di fotografare la nuova antropologia del Paese. Meglio ancora, di dover educare il popolo (somma ambizione di ogni totalitarismo) al nuovo che avanza. Che nell’anno di grazia 2023 avrebbe un nome preciso: fluidità. Intesa soprattutto come orientamento sessuale e quindi correlata con la percezione di sé e con la manifestazione esteriore di sé. Anche a prescindere dalla consapevolezza del rispetto che è dovuto ad ogni essere umano, alla sua identità, ai suoi valori, alla sua coscienza. C’era infatti qualcosa di violento, molto violento, nell’esibizione a cui abbiamo assistito.
A questo riguardo una giovane donna, la cui privacy va tutelata, osservava che nella pantomima sessuale fra i due cantanti (Rosa Chemical e Fedez), così come nel bacio prolungato a favore di telecamera, vi fosse una grande dose di violenza molto maschile. Lei si è spinta a definirlo, nel caso non ci fosse stato l’esplicito consenso di Fedez, uno “stupro in diretta televisiva” dinanzi a milioni di italiani. E aggiungiamo noi, come avremmo reagito se Amadeus si fosse avventato su Mara Venier seduta in prima fila, avesse mimato un rapporto sessuale non consenziente e poi l’avesse costretta a un bacio profondo? Ecco, basta poco per capire che c’è una generazione di giovani che va oltre le apparenze, non riduce tutto a chiacchiera inconcludente, ha uno sguardo molto più acuto e coglie l’indicibile: la violenza maschile (che pian piano sta contagiando anche l’universo femminile) in azione dietro le apparenze mimetizzanti dello spettacolo e della propaganda. Con la ricercata ambiguità: c’era o non c’era il consenso?
Forse dovremmo ascoltare di più questa generazione e non dare tutto per scontato. Ovvero che la fluidità debba essere necessariamente la nuova frontiera dell’identità e della relazione fra le persone. Che il rispetto dell’identità di tutti e di ciascuno (a prescindere dal genere) non può avere deroghe, neppure a Sanremo. Che la complessità deve fare i conti necessariamente con la natura umana. Che la ricerca di sé merita rispetto quanto la vocazione dell’altro. Che il mondo intollerante di ieri per fortuna non c’è più, ma quello libertario di domani non è il paradiso in terra. Che nessuno, nemmeno il conduttore popolarissimo, il cantante più famoso e neppure l’ultimo dei telespettatori può rinunciare all’esercizio della responsabilità personale. E che digerire tutto, ma proprio tutto, è roba da moderni totalitarismi. E da persone ridotte a massa. Dunque, pericolose per sé e per gli altri.
Domenico Delle Foglie